Jesi-Fabriano

Moise Tagoma, una morte avvolta nel mistero. L’appello della famiglia: «Vogliamo la verità» – VIDEO

A circa cinque mesi dal decesso del giovane a Jesi, solo il suo pusher è tra gli indagati. L'avvocato della famiglia: «Il ragazzo è stato lasciato morire, lasciato in uno stato di semincoscienza per tutta la giornata. Ma nessuno dei suoi coinquilini è indagato»

Moise Tagoma

JESI – È una morte avvolta nel mistero, quella inaccettabile di Moise Tagoma, il 25enne congolese trovato senza vita la sera del 29 aprile in un appartamento di via Esino, alle porte di Jesi, dove abitava con alcuni connazionali.

La Procura ha disposto un’autopsia per far luce sulle cause del decesso del ragazzo, molto conosciuto a Jesi per i suoi lavori come barman e cameriere in alcuni tra i più noti locali. La risultanza dell’autopsia avrebbe fatto emergere una discrepanza tra l’orario del malore e del successivo decesso e quella della chiamata al 118. Tragica fatalità o sottovalutazione del malore fatale? Cosa è successo quella sera nell’appartamento di via Esino? Cosa è davvero successo a Moise? Ma soprattutto: poteva essere salvato con una chiamata più tempestiva al 118?

Questi sono solo alcuni dei mille dubbi che rendono insonni le notti dei suoi familiari, sconvolti da un dolore troppo grande da accettare. I genitori e i fratelli di Moise si sono affidati all’avvocato Roberta Strampelli per arrivare alla verità. Abbiamo incontrato il legale nel suo studio in via Kennedy a Jesi.

«Moise già dalla mattina del 29 aprile presentava segni evidenti di insufficienza respiratoria acuta – dice l’avvocato Strampelli -; è stato lasciato in uno stato di semincoscienza per tutta la giornata. Necessitava un intervento tempestivo del 118, invece non è stato chiamato che molte ore dopo». Mentre le indagini condotte dai Carabinieri della Compagnia di Jesi sono ancora in corso, l’avvocato – raccogliendo la disperazione di questa famiglia che non sa arrendersi a una morte così assurda – vuol vederci chiaro e ha chiesto alla Procura di Ancona, titolare dell’inchiesta il dottor Rosario Lioniello, ulteriori accertamenti peritali e tecnici, oltre che medico legali.

«Ho depositato una memoria in cui abbiamo messo in luce ulteriori elementi d’indagine e accertamenti fatti sentendo i familiari. Vogliamo approfondire aspetti tecnici anche legati alla chiamata di soccorso». L’avvocato sta cercando il nesso causale tra la chiamata giunta con un ritardo di molte ore e l’evento morte. Ad aggravare il quadro di questa tragedia dalle tinte ancora oscure e sfocate, ci sono due elementi: uno dei coinquilini presenti quella maledetta sera nell’appartamento di via Esino era il cugino di Moise. Al momento vi è una sola persona iscritta nel registro degli indagati, anche se il capo d’imputazione non sarebbe ancora stato formulato. E non è uno dei coinquilini presenti quella sera del 29 aprile, bensì il pusher che avrebbe ceduto delle dosi di metadone – poi rinvenute in casa – e che non era con loro quando Moise ha avuto il malore fatale.

«È assurdo che un ragazzo di 25 anni possa essere lasciato morire così, da solo, senza la possibilità di essere soccorso. Ci sembra assurdo che nessuno dei presenti quella sera sia stato indagato ed è questo che chiediamo nella mia memoria difensiva. Sollecito la Procura affinché vengano tutti indagati per omicidio a seguito di omissione di soccorso. Erano tutti presenti e lo hanno lasciato morire».

Non lascia adito a interpretazioni l’avvocato Strampelli nella sua posizione, che è anche quella della famiglia Tagoma, impietrita in un dolore che ogni giorno è sempre lacerante, assieme all’assenza di Moise, alla sua allegria, alla dolcezza e all’essere gioviale con tutti, come viene ricordato con commozione dai fratelli Emanuel, Jonathan e Ketty.

«Mi manca il suo modo di sorridermi», dice la sorella tra le lacrime, mentre il padre non ce la fa a parlare perché la mancanza del figlio è come gli avesse rallentato i battiti del cuore. «È come se mi avessero strappato una parte da qui, dal petto e adesso sento tanto dolore – dice la mamma Gilesa nel pianto –. Vogliamo solo giustizia per Moise».