JESI – La famiglia chiedeva chiarezza, è convinta che Moise Tagoma, 25 anni, il congolese trovato morto in casa il 29 aprile scorso, stroncato da una dose letale di metadone, poteva salvarsi se i soccorsi fossero scattati prima. Adesso la Procura ha disposto un accertamento sui cellulari dei coinquilini del ragazzo, almeno 5 telefonini. Sono quelli recuperati in casa dai carabinieri, dopo che era stato trovato morto il giovane.
L’incarico peritale è stato affidato giovedì 3 dicembre all’analista forense Luca Russo che si è preso 60 giorni di tempo prima fornire una relazione sui contenuti dei dispositivi. Si cercano chat e telefonate che possono essere intercorse tra gli inquilini di quell’appartamento nella giornata in cui è morto Moise.
Al momento il pm Rosario Lioniello ha aperto un fascicolo a carico di un albanese, sarebbe colui che ha ceduto il metadone letale a Moise, quella mattina. È indagato per spaccio di sostanza stupefacente e morte come conseguenza di altro reato.
La settimana scorsa la sorella del giovane morto, Kady Tagoma, ha scritto una lettera alla trasmissione Le Iene. I familiari sospettano soccorsi tardivi e hanno nominato anche un proprio legale per farsi seguire sulla vicenda, l’avvocato Roberta Strampelli. Per loro bisognerebbe scavare oltre a chi ha ceduto lo stupefacente. Anche sulle persone che vivevano nella stessa casa di Moise, i coinquilini appunto, che hanno dato l’allarme solo alla sera, nonostante il ragazzo stava male già dalle 10. La sorella della vittima si è rivolta alle Iene perché teme che non si sia fatto abbastanza per il fratello, solo perché straniero.