JESI – Era il 4 dicembre 2018 quando a Jesi la più antica scuola media della città, la “Savoia” dell’Istituto comprensivo “Lorenzo Lotto”, cambiò nome e venne intitolata al giudice Paolo Borsellino. Fu, in città, una festa grande, testimonianza viva e umanissima di ciò che i docenti e la dirigenza scolastica (al tempo, Maria Rita Fiordelmondo) volevano infondere nelle ragazze e nei ragazzi: senso dello Stato, amore e passione verso la propria terra, umanità profonda e cura della società. Un modello, che giustamente si voleva ricordare con un segno tangibile dedicato al “giudice Paolo”. All’evento, molti lo ricordano, parteciparono con calore ospiti importanti: il generale Angiolo Pellegrini che collaborò con Falcone e Borsellino, Paolo Borrometi, giornalista in prima linea nella lotta alla criminalità, e Salvatore Borsellino, fratello del magistrato Paolo e fondatore del Movimento Agende Rosse. «Quella di Paolo – raccontò quel giorno agli studenti jesini Salvatore Borsellino – è stato un messaggio d’amore, non solo di coraggio, perché senza l’amore non avrebbe fatto le scelte che ha fatto sapendo che sarebbe stato ucciso dalla mafia. E’ tempo di combattere per la libertà e la giustizia calpestate da pezzi deviati dello Stato che hanno trattato con la mafia condannando Paolo a morte, e da magistrati che hanno permesso di occultare la verità».
Ricorda bene quella giornata Maria Teresa Mancia, al tempo docente nella “Savoia” ed oggi volontaria del Movimento Agende Rosse di Ancona e Provincia. Un gruppo quello cui fa parte Maria Teresa, intitolato agli Agenti delle scorte e a Vincenzo Madonia. Fu appunto la prof, oggi in pensione, a proporre l’intitolazione a Borsellino. L’idea venne lanciata nel 2017, e divenne realtà nell’anno scolastico 2018/2018 dopo un lungo iter burocratico.
«La mia proposta – ricorda la prof. Mancia – venne dopo una visita a Palermo, il 19 luglio, in occasione della cerimonia che si tiene lì ogni anno per ricordare la strage di mafia in cui persero la vita Paolo Borsellino e la sua scorta. Non era la prima volta che mi trovano lì, ma condividere quel momento con tante persone mi cambiò profondamente: gli occhi lucidi, la commozione, le parole degli altri mi fecero sentire il bisogno di riportare anche a Jesi quella testimonianza di impegno e di umanità profonda. L’intenzione era di dare ai ragazzi un modello di vita più contemporaneo, e alla fine la (ex) Savoia ce l’hanno fatta».
Che cos’è il gruppo Agende Rosse, e di cosa si occupa?
«Agende Rosse è un movimento, non un’associazione. E’ costituito da cittadini che agiscono affinché sia fatta piena luce sulla strage di Via D’Amelio a Palermo del 19 luglio 1992, sulle zone ancora buie che avvolgono i nomi dei mandanti e degli esecutori dell’eccidio. Nel movimento operano diversi gruppi, in tutta Italia. Ognuno è intitolato a qualcuno o a qualcuna, fino a poco tempo fa portavamo nel nome quello del generale-prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa e della moglie Emanuela Setti Carraro, entrambi vittime di mafia (furono uccisi il 3 settembre 1982, ndr). Da alcuni mesi abbiamo cambiato nome e ci intitoliamo agli “Agenti delle Scorte e Vincenzo Madonia”: sentiamo il bisogno di palare dei primi perché troppo spesso vengono dimenticati eppure hanno pagato un prezzo altissimo per la loro opera. Quanto a Madonia, ex finanziere, è stato un nostro carissimo amico, in prima linea nella lotta contro la mafia. E poi c’è Salvatore Borsellino, ancora oggi non si stanca di combattere, ma – dopo la sentenza della Cassazione sull’assoluzione degli indagati nel processo per la trattativa Stato mafia – è rimasto profondamente amareggiato per una giustizia che ancora non c’è».
Come operate sul territorio?
«Con le scuole, principalmente, in lezioni e iniziative di sensibilizzazione per diffondere la cultura della legalità attraverso la conoscenza degli uomini e delle donne che si sono profondamente impegnati. Alla scuola Borsellino di Jesi lavoriamo da tempo per percorsi di educazione alla legalità che accompagnano gli studenti dal primo al terzo anno. Ultima in ordine di tempo, l’iniziativa tra le scuole medie di Chiaravalle e di Monsano, dove abbiamo portato un progetto su Peppino Impastato, attivista, giornalista e poeta siciliano, ucciso per la sua strenua lotta contro la mafia».
Come si lavora nelle classi?
«Il nostro impegno è nel raccontare l’antimafia inquadrando le storie singole in un preciso contesto, perché ci siamo resi conto che spesso questi personaggi – Falcone, Borsellino, Impastato – sembrano ai ragazzi figure di un’epoca sconosciuta. Ci rendiamo conto che i ragazzi non conoscono nulla della seconda parte del Novecento, perché i programmi scolastici non ci arrivano, e allora sembrano distanti e poco interessati. Impastato non lo comprendi bene se non conosci bene il suo tempo, così raccontiamo lui e la sua epoca, dagli anni cinquanta fino alla sua morte nel 1978 cercando di ricostruire il suo vissuto; i ragazzi sono molto attenti quanto la storia raccontata diventa quella di uno della loro età, di un ragazzo che crescendo ha fatto delle scelte importanti».
Ci sono altri personaggi che catturano l’attenzione dei ragazzi?
«Sì, tra le figure chiave ci sono quelle di due giovani donne vittime di mafia, come Rita Atria ed Emanuela Loi. Rita Atria è stata una testimone di giustizia, collaborò con Borsellino e si uccise a 17 anni una settimana dopo la strage di via D’Amelio. La Loi morì in via D’Amelio, faceva parte della scorta di Borsellino; quando ne recuperarono i poveri resti lo Stato li inviò alla famiglia in Sardegna chiedendo ai suoi cari di pagare, addirittura, la fattura del trasporto…».
Altre iniziative?
«Promuoviamo tanti incontri con i testimoni di oggi. Abbiamo ospitato Marisa Garofalo, la sorella di Lea Garofalo testimone di giustizia italiana, vittima della ‘ndrangheta. Quest’anno c’è stato Paolo Borrometi giornalista sotto scorta che ha scritto un libro sulla vita di Padre Pino Puglisi. Quando vengono questi personaggi facciamo in modo tale che ci siano anche momenti di incontro con la città. Da due anni andiamo a Monsano il 2 giugno per la consegna della costituzione ai ragazzi. Ci hanno chiamato a Senigallia una settimana fa per l’intitolazione a Emanuela Loi della piazzetta davanti al comando della polizia. Stiamo inoltre collaborando con la biblioteca di Moie, per incontri pubblici ma anche creare un punto di sensibilizzazione sui temi che ci stanno più a cuore».
La lotta alla mafia sta diventando un tema marginale rispetto alle agende pubbliche? Se ne parla sempre meno…
«Non è assolutamente un’impressione, purtroppo… C’è la tentazione di pensare che la mafia non esiste, ma la criminalità organizzata nelle Marche è ben presente, abbiamo di tutto… Lo ha ben raccontato la ricercatrice e scrittrice fermana Sara Malaspina nel suo libro “Conoscere per riconoscere. La criminalità organizzata nelle Marche” scritto nel 2019 insieme all’allora procuratore generale delle Marche. Quando raccontiamo nelle scuole che anche nella nostra regione esistono e operano vari tipi di criminalità organizzata, italiana e non, i ragazzi rimangono sconvolti. La mafia da sola non può niente, ma è efficace perché ha rapporti strutturati con pezzi di società corrotta…»