JESI – Il Museo Diocesano offre da ieri, 11 marzo, una nuova sezione al visitatore: quella dedicata alle icone.
Sono 38, donate da don Vittorio Magnanelli, parroco di San Francesco di Paola – i “Paolotti” – , in attesa che si aggiungano anche le altre 13 attualmente esposte alla Quadreria di Palazzo Bisaccioni, sede della Fondazione Carisj che ha contribuito economicamente al loro restauro. Ma ieri, per l’occasione, ne sono state temporaneamente esposte anche altre 11.
Alla Sala Valeri, oltre a un pubblico molto interessato all’evento, c’erano il vescovo, don Gerardo Rocconi, il direttore del museo e dell’Ufficio beni culturali della diocesi, Randolfo Frattesi, suor Patrizia Pasquini, relatrice dell’incontro, lo stesso don Vittorio, Sara Tassi e Giulia Giulianelli, conservatrici del museo, e Carla Marinelli, collaboratrice.
Suor Patrizia, iconografa, della congregazione delle Adoratrici del Sangue di Cristo di Castelplanio, ha svolto un’interessante relazione relativa alla tecnica di realizzazione delle icone «che non si possono guardare come si guarda un’opera d’arte dell’Occidente, in quanto in Oriente c’è una cultura tutta particolare che vede nell’icona una finestra che si apre sul mondo di Dio, creando come un ponte. Rende, cioè, accessibile il visibile dell’invisibile».
Chi “scrive” con i colori un’icona, perciò, deve attenersi a canoni particolari in quanto sta parlando di Dio, è un teologo.
Ed è una persona che si è lasciata “trasformare” dal divino e generalmente accompagna il suo lavoro in spirito di preghiera, che vive in comunione con la Chiesa e con la sua tradizione e a questa si attiene.
«Nell’icona – spiega suor Patrizia – la sua creatività è presente nei colori, nei particolari. Ma non tutti i particolari che desidera perché non sta parlando di se stesso ma di Dio, secondo una visione teologica. Pertanto la sua creatività è limitata. Presta la sua mano a Dio e quello che realizza non è suo ma semplicemente un’opera attraverso la quale la bellezza divina si rende presente».
Tanto è vero che l’iconografo, generalmente, non firma la sua opera. I materiali che vengono usati: il legno, che ha il senso biblico della salvezza con la croce di Cristo. I colori, che esprimono la luce, con l’oro che circonda l’immagine e sovrabbonda nelle vesti. La procedura, la quale prevede che sopra il legno sia posta una tela – ricordo di un evento miracoloso -, la levigazione con il gesso, il disegno che deve rispondere a canoni precisi.
«L’icona non prevede la profondità, si costruisce sull’altezza e sulla larghezza. Ha una prospettiva rovesciata per cui i punti convergono verso chi guarda, punto di arrivo che mira al cuore. Il divino che entra in noi. La luce e la prospettiva rovesciata sono peculiarità».
Come lo è quella dello sguardo. Anche se le figure sono di profilo sono sempre disegnati entrambe gli occhi in quanto Dio lo si vede faccia a faccia. Lo scopo è quello di presentare una visione, un incontro, con Dio che si rivela.