JESI – Lo storico gruppo di ricerca e canto popolare compie cinquant’anni: mezzo secolo di storia e musica per La Macina, composto da Gastone Pietrucci, Adriano Taborro, Marco Gigli,
Roberto Picchio, Riccardo Andrenacci e Giorgio Cellinese. Un anno importante, già ribattezzato “Non altro che il canto 1968-2018. Cinquanta anni di arte e di passione de La Macina”.
Volto e anima della formazione, sin dal giorno della sua nascita, è Gastone Pietrucci.
Cinquant’anni sono un traguardo eccezionale, pensavi che La Macina sarebbe arrivata a questo punto e come festeggerete?
«È un traguardo importantissimo frutto di un lavoro continuo e puntuale sul territorio. Merito di un gruppo che negli anni si è trasformato, è evoluto con grandi musicisti che hanno offerto nuove possibilità. Nessuna celebrazione ma festeggiamenti sì, la Regione Marche ripubblicherà il libro “Cultura popolare marchigiana” che avevo già pubblicato nel 1995. Diventeranno Cd i primi cinque dischi de La Macina che quando sono usciti erano in vinile e poi ci sarà un disco nuovo, doppio: tradizioni popolari da un lato e poesie di autori marchigiani musicate. Nel corso del 2018 ci sarà un grande convegno sul lavoro di ricerca della canzone popolare marchigiana e saremo in concerto al Parco della Musica di Roma. Un traguardo atteso? Posso dire che La Macina, probabilmente, è l’unico gruppo di canto popolare attivo in Italia dal primo anno fino all’ultimo. La Macina è come una barca, ci vuole un “folle” al timone che tiene la rotta».
Idee chiare, un grande lavoro di ricerca che dà dignità e importanza alla tradizione popolare. Qual è il segreto de La Macina?
«La forza e la credibilità del gruppo sta proprio nel lavoro di studio e di ricerca. All’inizio sono stato folle e incosciente: vivevo a Spoleto e avevo visto Roberto Leydi in “Bella Ciao” e sono rimasto folgorato, ho capito che la musica popolare mi apparteneva. Il primo disco è uscito nel 1982, il gruppo era nato nel ’68: ci abbiamo messo diversi anni per strutturare la nostra identità».
Sei sempre stato convinto delle potenzialità de La Macina o hai dubitato?
«Non ho mai avuto dubbi, sono stato sempre convinto che il grande lavoro sul territorio avrebbe dato i suoi frutti. Ci è voluta serietà, curiosità, un grande lavoro di studio, la passione che ci hanno permesso di ottenere un prodotto di qualità: la fortuna non viene da sola e le scorciatoie servono a poco».
Una carriera lunghissima la tua, vivi qualche rammarico?
«Ciò che mi rammarica è l’indifferenza che c’è adesso: come fa un gruppo giovane ad affermarsi? Per noi è stato un lavoro duro ma le persone ci credevano. Io andavo con il mio registratore per le campagne per conoscere i canti della tradizione: canti in via di estinzione perché si tramandavano oralmente. Un lavoro che oltre a recuperare la tradizione ha fatto uscire dal guscio molti cantori che contribuiscono a rassegne come Cantamaggio e La Pasquella. Finiscono le tradizioni ma non la memoria, io per questo mi sono sempre battuto: nessun rimpianto quindi, sono molto contento di questo gruppo eccezionale. Abbiamo lavorato su Luigi Tenco, Fabrizio De Andrè, Domenico Modugno raffrontando pezzi nostri con quelli loro».
A cosa tieni di più del tuo lavoro?
«Il sound che adesso ha La Macina dà dignità alla musica popolare e questo per me è fondamentale. La musica popolare non è vestirsi con costumi improbabili e suonare il Saltarello o stornelli sguaiati: è dignità, della tradizione e del popolo. Le persone devono pensare: il canto popolare è la nostra storia. Per questo io quando canto voglio l’ascolto dal pubblico, poi si può anche ballare ma ascoltare le canzoni è molto importante: se un popolo non ha memoria è destinato a ripetere i propri errori. La vita di ieri era dura, non possiamo rappresentarla in costumi folkloristici e basta, dobbiamo raccontarla altrimenti andiamo incontro ad un imbarbarimento totale».
La formazione de La Macina negli anni ha subito delle trasformazioni e diverse sono state le collaborazioni..
«Sono molto contento di tutte le persone con cui ho lavorato e delle collaborazioni: si prende e si dà. Quando ho conosciuto la Gang ho abbassato il mio paraocchi e studiato il loro repertorio trovandolo molto interessante. In cinquanta anni si cresce, pensi che la mia voce non la riconosco più, si è trasformata naturalmente».
La Macina attualmente è composta da Gastone Pietrucci, voce inconfondibile e direttore artistico, Adriano Taborro chitarra, mandolino, violino e voce, Marco Gigli chitarra e voce, Roberto Picchio fisarmonica e organetto, e Riccardo Andrenacci batteria e percussioni, il coordinamento del gruppo è di Giorgio Cellinese. La Macina si è esibita in tutta la Regione e oltre, collezionando collaborazioni importanti e grande successo di critica.