CUPRAMONTANA – Quaranta +1 anni di carriera, una valanga di canzoni, milioni di km percorsi nel cuore della musica. Ma Non è fortuna. È la storia musicale degli Africa Unite, il gruppo più longevo e rappresentativo del raggae made in Italy. Nati nel 1981 immediatamente dopo la prematura scomparsa di Bob Marley su idea dei fondatori, Bunna e Madasky, gli Africa Unite debuttano nel lontano 1987 con Mjekrari. Oggi sono ancora insieme e continuano a raccontare la loro storia in musica. Per il lancio del nuovo disco e per celebrare i 40+1 anni di carriera hanno scelto il palco di Cupramontana, band d’esordio della 85esima Sagra dell’Uva, dove si esibiscono il 30 settembre. Ne abbiamo parlato con Bunna.
Un felice ritorno nelle Marche?
«Siamo venuti più volte nelle Marche in concerto, ricordo un luogo dove suonavamo spesso… il Barfly e un bel concerto a Montegranaro, c’è un bel calore lì da voi, è molto bello per noi tornare».
Se Non è fortuna allora cos’è?
«Gli Africa hanno percorso un lungo viaggio musicale di 40 anni, ne siamo orgogliosi. Pensiamo che se siamo qui non è stato solo per quel po’ di fortuna che aiuta sempre, ma perché c’è stato lavoro, impegno costante, dedizione e molto tempo dedicato a fare musica».
Come mai avete scelto un funambolo per la copertina del vostro nuovo disco?
«Proprio per dare questa idea che rimanda al titolo: se il funambolo non cade non è perché è fortunato, ma perché ha imparato a camminare sul filo. L’idea è venuta al nostro bassista, Marco “PaKKo” Catania che oltre a essere un bravo musicista è un geniale grafico. La sua idea ci è piaciuta subito».
40 e uno anni di carriera, quante canzoni?
«Tantissime, quasi 200 in 18 dischi. Infatti la scaletta dei concerti per noi è sempre un dramma: le amiamo tutte non possiamo suonarle tutte, sceglierle è difficilissimo».
Quale non manca mai? E perché?
«Suoniamo sempre Il Partigiano John (brano dedicato al nonno di Madaski, composto per il progetto “Materiale resistente 1945-1995” e pubblicato nell’aprile 1995 per il 50esimo anniversario della liberazione d’Italia dal fascismo) perché c’è sempre più bisogno di cantare pezzi come questo, per contrastare la deriva politica in cui siamo finiti e per dire da che parte stiamo. È importante portare avanti la nostra convinzione di antifascismo».
Come descrivereste il vostro nuovo lavoro discografico?
«Ci rappresenta in pieno, ruota attorno al concetto di impegno, di coerenza di una band che in questi anni ha suonato e sudato sui palchi italiani e esteri, con costanza invidiabile, prodotto centinaia di brani e oggi è ancora qui a presentare un nuovo lavoro e un nuovo tour ma con la stessa voglia di mandare messaggi e dire la sua al pubblico».
Nell’epoca della musica scaricabile, dei podcast e delle piattaforme, realizzare un disco non è un po’ desueto?
«L’idea del disco ci appartiene, noi siamo quelli delle cassette registrate. Siamo figli di quell’epoca, quando la musica ancora aveva dei significati. Adesso siamo in un’epoca in cui i supporti fisici sono passati di moda in favore dello streaming. Le piattaforme digitali non ci appartengono ma bisogna esserci per arrivare a tutto il pubblico, altrimenti al giorno d’oggi non esisteresti. Ma la musica vera è quella dei dischi».
La sua opinione sui vari rap, trap e nuovi generi musicali tanto cari ai giovani?
«La musica dell’ultima ora facciamo fatica a comprenderla, lo ammetto. Il successo di certi trapper viene decretato da un pubblico molto giovane che magari guarda il video su youtube, ma non ha parametri musicali concreti. Ecco perché alla piramide del successo oggi si trovano personaggi molto discutibili… il risvolto della medaglia dei social. Forse noi Africa Unite siamo legati a un concetto vecchio, ma la musica per essere buona deve essere fondata sull’equilibrio di armonia, melodia, ritmo e su una parte testuale che deve fornire spunti di riflessione, di crescita, di cultura. Non si può basare un testo su uno che invita al consumo di droghe o ostenta una vita nell’illegalità: la realtà è un’altra, non quella raccontata dai trap. Quello che arriva dai social è fuorviante».
Uno degli elementi che vi ha caratterizzato è anche la coesione: non avete scelto carriere musicali singole per poi puntare sulle reunion come molti artisti…
«La band nel corso degli anni è cambiata per un turnover di musicisti ma il cuore pulsante siamo sempre stati io e Madaski, i fondatori e ideatori. Noi scriviamo i testi, le musiche. Con quest’ultima formazione (la ricordiamo: Bunna voce-basso; Madaski programming- pianoforte-voce; Papa Nico percussioni; Marco “Benz” Gentile chitarre-violino; Marco “PaKKo” Catania basso; Matteo “Mammolo” Mammoliti batteria; Paolo “De Angelo” Parpaglione sassofono; Luigi “Mr. T-Bone” De Gaspari trombone; Gabriele “Pera” Peradotto sassofono; Luigi “Giotto” Napolitano tromba; Patrick “Kikke” Benifei cori) c’è un bell’affiatamento sia dal punto di vista umano che musicale. Non ci siamo mai sciolti per fare poi delle “reunion” che ci sembrano solo delle operazioni di marketing e business poco credibili».
Come vede il futuro degli Africa Unite?
«Continueremo a fare musica, a maggio è uscito questo bel lavoro Non è fortuna che si pregia della partecipazione di quattro ospiti d’eccezione: in Non è Fortuna, title track dell’album, troviamo David Hinds, cantante della band britannica Steel Pulse che ha influenzato non poco il nostro stile; Brinsley Forde, cantante degli Aswad, altro nome fortemente voluto da me e Madaski che interviene in Bilancio Inutile. Tonino Carotone invece è la voce in Tuyo, brano di Rodrigo Amarante che fa parte della colonna sonora della nota serie Narcos. Infine il giovane rapper Tito Sherpa, recente scoperta, interviene in La Grande Truffa del Millennio e Amori Scarichi. Lanceremo un secondo singolo con vari remix e versioni dub. Intanto, frullano le idee per un altro prossimo lavoro… è un modo per continuare a fare ciò che amiamo e per continuare a rinnovarsi nel tempo».