JESI – All’ospedale “Carlo Urbani” in un giorno, la Befana, tanto caro ai bambini, c’è una giovane mamma, Sevine, che il suo bambino di 5 anni, Hamid, lo piange.
Hamid non c’è più, ucciso, e il suo papà, Besart Imeri, è in carcere, a Montacuto, con l’ipotesi di omicidio volontario aggravato dal legame di parentela.
Cosa sia successo a Cupramontana, nella Yaris Toyota parcheggiata in via Bonanni, a due passi da casa, giovedì 4 gennaio scorso intorno alle 18, saranno le indagini e il successivo processo a stabilirlo.
Resta il dolore di una madre che si chiede e chiede: «Perché?». Una domanda sospesa tra le lacrime, un “perché” che attende tante risposte.
La giovane Sevine, al settimo mese di gravidanza, terzo figlio, era stata ricoverata all’ospedale di Jesi, subito dopo i tragici fatti, in stato di shock.
Ieri la “visita” degli inquirenti, non si è mossa dalla sua stanza, oggi 6 gennaio, in tarda mattinata, si è recata al bar del nosocomio. Le sue condizioni fisiche sono buone, il problema è “dentro”. Con lei anche il suocero, Bajram.
Ordina un succo di frutta e una brioche, poi si siede, dispiega un quotidiano e inizia a leggere per la prima volta i resoconti a tutta pagina sulla tragica vicenda di Cupramontana che vede coinvolta la sua famiglia di origine macedone.
Ma dura poco. Piange. È sconvolta. Il suocero la ferma, le chiude il giornale. Non vuole che vada avanti.
Ci guarda e dice ancora: «Perché?». E le parole le si strozzano in gola. Vuole il giornale, ce lo chiede. Ma il suocero interviene di nuovo: «Te ne porto un altro, lascia stare».
Poi, rivolto a noi: «Si è spezzato il dito di una mano, un grande dolore. Ma la mano resta. E noi restiamo uniti».
Se ne vanno verso il reparto che la accoglie in queste ore. Negli occhi colmi di infinite lacrime ancora la domanda: «Perché?».