JESI – Dopo il successo della prestigiosa mostra sull’arte povera, il rinascimentale Palazzo Bisaccioni ospita l’esposizione “La Scuola di San Lorenzo. Una factory romana” che riunisce idealmente quel gruppo di artisti che nella Roma degli anni ’80 occuparono le stanze abbandonate dell’ex pastificio Cerere con i loro ateliers, donando nuova linfa vitale al caseggiato industriale situato nell’omonimo quartiere della città.
Il taglio del nastro nella sede della Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi, che ha organizzato l’esposizione in collaborazione con Gino Monti Arte Contemporanea Ancona e curata da Giancarlo Bassotti, con il contributo critico di Marco Tonelli, sarà domani (7 dicembre) alle ore 18. «Accomunati da un’attenzione particolare per il processo creativo dell’opera d’arte, il gruppo della ‘Scuola di San Lorenzo’, che nel senso stretto del termine non è mai stato tale, ha maturato interessanti percorsi individuali, ora riuniti in una selezione di circa quaranta opere per la mostra jesina» hanno spiegato gli organizzatori. In mostra le opere di Domenico Bianchi, Bruno Ceccobelli, Giovanni Dessì, Giuseppe Gallo, Nunzio, Piero Pizzi Cannella e Marco Tirelli.
Consacrati dalla critica come gli esponenti della ‘Scuola di San Lorenzo’, questi artisti furono riconosciuti in occasione della mostra Ateliers curata nel 1984 da Achille Bonito Oliva nei locali di via degli Ausoni, a Roma, allora sede di un ex pastificio abbandonato e oggi Fondazione che porta il nome del pastificio stesso. A caratterizzarli la ricerca di nuove soluzioni formali, l’uso più dei materiali più disparati: «Questi artisti non si sono identificati con il luogo, ma è proprio quest’ultimo che li ha identificati e ne è rimasto a suo volta segnato» afferma la critica Patrizia Ferri. Tutti e sette gli artisti proveniente dalla ‘Scuola di San Lorenzo’ condividono una poetica in grado di riallacciare l’arte con l’esperienza quotidiana fatta di immagini simboliche riconducibili all’esperienza intima di ogni artista nel proprio studio, luogo di vita e attività febbrile.
Su questa base le opere di Domenico Bianchi si contraddistinguono da un segno che è anche il soggetto dell’opera la cui funzione è quella di generare altre forme aprendosi quindi a molteplici possibilità di senso. Mentre le tavole di Bruno Ceccobelli ben esprimono il simbolismo attraverso la creazione di immagini che rimandano a una narrazione mitologica fatta di segni non codificati. La pittura di Gianni Dessì è invece uno studio approfondito sulla tridimensionalità: i suoi dipinti dialogano infatti con la scultura fino ad alterarne la percezione. Giuseppe Gallo predilige il confronto con la natura in divenire e così le sue tele ben rappresentano l’essenza di questo movimento attraverso forme imprevedibili e in costante movimento. Nunzio, quello che fu definito all’epoca l’unico scultore del gruppo, ancora oggi lavora sulle possibilità espressive della materia e del suo rapporto con lo spazio e la luce e, a partire già dalla metà degli anni ’80, ha iniziato a utilizzare vari materiali come il legno e il ferro e a sperimentare nuove tecniche come quella della combustione del legno che ancora oggi caratterizzano la sua produzione artistica.
Pietro Pizzi Cannella si muove tra il disegno e la pittura nel tentativo di abbattere le barriere tra le due espressioni attraverso un linguaggio privo di artifici barocchi dove il quotidiano emerge nella sua struggente semplicità. Astratto e figurativo si fondono invece nelle opere di Marco Tirelli dove la forma e la luce riescono, da sole, a declinare il soggetto in infinite combinazioni.