Sensibilizzare le persone per allontanare le superstizioni legate ad alcuni animali che ha volte mettono a rischio la biodiversità. È l’obiettivo di un’iniziativa promossa presso la Riserva Ripa Bianca di Jesi da Wwf Italia e Cicap (Comitato italiano controllo affermazioni sulle pseudoscienze) in occasione della giornata anti-superstizione, venerdì 17 maggio ore 21. Ci sarà una visita guidata in notturna, ad ingresso gratuito, dal titolo “Pipistrelli nei capelli, civette del malaugurio e altre superstizioni”. Una serata dedicata dunque alla promozione di una indagine critica sulle superstizioni che coinvolgono gli animali e che alle volte costituiscono una minaccia per la loro esistenza.
Dal 2009 il Cicap organizza la Giornata Anti Superstizione (GAS), un appuntamento che si rinnova ogni venerdì 17, per “comunicare con leggerezza che la superstizione non è sempre innocua”. Quest’anno, la giornata si svolge in collaborazione con Wwf Italia per un focus sulle specie a rischio e perdita di biodiversità, su cui è stato realizzato un dossier pubblicato nel numero 57 della rivista Query. Si parlerà soprattutto di superstizioni che danneggiano gli animali e gli ecosistemi: uccelli del malaugurio, false credenze sui pipistrelli, pregiudizi sul comportamento animale.
Il dossier pubblicato dal Cicap affronta il tema dei legami tra superstizioni, specie a rischio, perdita di biodiversità ed estinzioni. In un articolo a firma di Sofia Lincos, si legge: «L’idea che i gatti possano rubare il fiato dei neonati fino a farli morire è diffusa almeno dal Seicento, ed è una delle tante superstizioni e false credenze del folklore europeo legate agli animali. Chiunque può recitarne un elenco: gli struzzi nascondono la testa sotto la sabbia; i lemmings si suicidano gettandosi dalle scogliere; le vipere partoriscono sugli alberi; le coccinelle portano fortuna; gli elefanti sono terrorizzati dai topi… Non sempre, però, si tratta di storielline innocue: alcune superstizioni danneggiano gli animali, e in molti casi possono addirittura mettere a rischio la conservazione di intere specie».
Diverse le categorie di credenze che interessano, e danneggiano, gli animali. «La prima grande categoria di false credenze che danneggiano gli animali è quella che vorrebbe alcune specie foriere di disgrazie – si legge nel dossier – Non si tratta solo dei proverbiali gatti neri: a farne le spese, in Italia, sono per esempio anche gli uccelli notturni. La credenza che le civette siano annunciatrici di morte è riportata fin dagli Hieroglyphica dello scrittore rinascimentale Piero Valerio: udire il canto di una civetta era considerato fin dai tempi antichi come l’annuncio di una morte in famiglia. Simili credenze sono state associate, in Europa, a rapaci come il barbagianni, l’allocco, il gufo e l’assiolo; quest’ultimo è stato oggetto anche di una nota poesia di Giovanni Pascoli, intitolata appunto “L’assiuolo”, in cui il verso dell’uccello (chiù) è presentato come un presagio di morte».
Gli esempi sono numerosi, ed altrettanti ne elenca l’autrice nella seconda categorie di credenze dannose per la biodiversità. «Gli animali minacciati dalla superstizione non sono solo quelli “porta jella”. Anche la credenza opposta, cioè che l’animale possa attirare la buona sorte, può rappresentare un serio pericolo per le specie coinvolte, che rischiano di essere cacciate per la realizzazione di amuleti e talismani». E’ ad esempio, il caso delle pratiche della cosiddetta medicina alternativa. In questo ambito, i problemi maggiori derivano dalla medicina tradizionale cinese, che impiega nella propria farmacopea circa 12.000 sostanze diverse. Tra queste, l’85% è di origine vegetale, il 2% di origine minerale, mentre i rimedi ricavati dagli animali sono circa il 13%.
La terza grande categoria delle superstizioni che danneggiano gli animali è quella che li dipinge come molto più pericolosi di quanto non siano in realtà, portando a timori ingiustificati e – qualche volta – anche alla soppressione di alcuni esemplari. Ne sono un esempio le leggende sul cervone, un innocuo colubro che vive in tutta l’Italia meridionale; il suo nome popolare è infatti pasturavacche, perché lo si riteneva goloso di latte: così goloso da procurarselo in ogni modo, magari attaccandosi alle mammelle delle mucche al pascolo o infilandosi nella gola dei neonati. Una superstizione, quella dell’attrazione fatale verso il latte, che condivide con altri serpenti». Altrettanto famigerata era la tarantola in Puglia: al suo morso era attribuita una terribile malattia, chiamata appunto tarantismo, dai sintomi simili all’epilessia. Le aquile, invece, sono state additate fino a tempi recentissimi come “ladre di bambini”. E poi ci sono i poveri pipistrelli, presenze fisse dell’iconografia di Halloween, ed è tuttora diffusa la credenza che i pipistrelli possano aggrapparsi ai capelli delle persone, fino a causarne la distruzione, cosa che in realtà non sono assolutamente in grado di fare.
Infine, c’è il multiforme universo delle leggende metropolitane moderne che possono contribuire a danneggiare gli animali. Particolarmente interessante è la leggenda, diffusa in molti paesi di cultura araba, secondo cui nazioni come gli Stati Uniti e Israele userebbero animali-spia, debitamente addestrati, per tenere sotto controllo i nemici, come il grifone catturato in Yemen nel 2019 e detenuto nel Paese per alcuni mesi, o l’accusa avanzata dagli iraniani nel febbraio 2018, e cioè che lucertole e camaleonti verrebbero “teleguidati” nel Paese per cercare di carpirne i segreti nucleari.
Tra le leggende metropolitane c’è quella degli animali “pericolosi” reintrodotti di nascosto; in Italia si tratta soprattutto di vipere, lupi, cinghiali, magari nella variante secondo cui gli animali verrebbero paracadutati dal cielo con elicotteri. Analoga è la storia, diffusa in Italia negli anni ’90, secondo cui l’aumento dei piccioni nelle cittadine di provincia sarebbe dovuto all’azione di camion privi di insegne che catturano i volatili nelle grandi città come Venezia, Milano o Firenze e li liberano nelle campagne. «Queste leggende – spiega Sofia Lincos sulla rivista del Cicap – potrebbero sembrare innocue, semplici tentativi di darsi una spiegazione per un aumento di alcune specie. Eppure possono avere effetti importanti sul dibattito pubblico, soprattutto quando vengono sostenute da partiti e decisori politici che dipingono lupi e vipere come un problema creato “artificialmente”, descrivendo gli abbattimenti come un ripristino di una “condizione originaria”, mentre si tratta invece di una condizione naturale, rispetto alla quale è necessario trovare mezzi e strategie di coesistenza».