JESI – Una giornata dedicata all’ambiente organizzata dal Comitato di Jesi della Croce Rossa Italiana. L’appuntamento è sabato 29 aprile ai Giardini Pubblici, una festa in onore del nostro pianeta. Si comincia alle 16 con i volontari della Croce Rossa jesina che organizzeranno diverse attività didattiche, con lo scopo di favorire la cultura della sostenibilità del riutilizzo e del riciclo dei rifiuti.
Perché la Croce Rossa, associazione che ha come obiettivo primario la tutela della vita umana, perché dunque occuparsi della Terra? La risposta nelle parole di Daniele Duca, consigliere del comitato Cri di Jesi: «Stime dell’Onu dicono che nel 2020 saranno 50 milioni i cosiddetti profughi ambientali, coloro che sono costretti a spostarsi a causa degli effetti dei cambiamenti climatici sulle loro terre. Altre risposte le possiamo trovare, ad esempio, scoprendo che nella “Terra dei fuochi”, luogo dove l’inquinamento e l’inciviltà dell’uomo hanno creato un vero e proprio disastro ecologico, l’incidenza dei tumori supera dell’11% la media nazionale. Insomma, che si tratti di dissesto idrogeologico, inquinamento dell’aria e della terra, siccità, desertificazione o emissioni di gas serra, la mano distruttiva dell’uomo è sempre più evidente e produce moltissimi effetti nocivi».
La sensibilità del gruppo jesino nei confronti del tema è lungimirante, oltreché apprezzabile. I profughi ambientali, infatti, rischiano di raggiungere numeri da record nei prossimi anni: il dossier “Cambiamento climatico e migrazioni forzate” cita il programma delle Nazioni Unite sull’ambiente (UNEP) secondo cui nel 2060 in Africa ci saranno circa 50milioni di profughi climatici e spiega «tenendo in considerazione l’enorme numero, attuale e futuro, di evacuati per cause ecologiche il XXI secolo potrebbe essere definito come il “Secolo dei rifugiati ambientali”, nonostante il termine non sia ancora riconosciuto dalle leggi internazionali».
Chi sono i profughi ambientali? Sono vittime di eventi climatici estremi, dovuti al cambiamento climatico provocato a sua volta dall’opera dell’uomo. Persone che pagano la poca importanza che viene data all’ambiente nelle agende politiche internazionali. Bambini, donne e uomini che non riescono più ad adattarsi all’impatto che le catastrofi hanno sul luogo dove vivono e quindi si vedono costretti a fuggire in cerca di condizioni di vita migliori e più salubri.
Numeri alla mano dimostrano che l’esodo è già cominciato: il Centre for Research on the Epidemiology of Disasters (CRED) nel solo 2012, parla di 310 calamità naturali che hanno portato 9.330 decessi, 106 milioni di persone colpite e un danno economico stimato pari a 138 miliardi di dollari. L’ultimo rapporto dell’Internal Displacement Monitoring Centre, ripreso da Legambiente e pubblicato nel maggio 2013, afferma che «nel 2012 sono state 32,4 milioni nel mondo le persone costrette ad abbandonare la loro casa in conseguenza di disastri naturali». Pensare che sia un problema “moderno” è sbagliato: a causa di pratiche agricole inappropriate tra il 1931 e il 1939 oltre mezzo milione di americani restò senza casa per via del “Dust Bowl”, una serie di tempeste di sabbia che colpirono gli Stati Uniti (Texas, Kansas e Oklahoma, e il Canada.