JESI – Buone, anzi ottime notizie per gli amanti della birra. In Italia il consumo aumenta anche grazie al boom dei microbirrifici artigianali che, fonte Coldiretti, dieci anni fa erano poco più di una trentina ed ora sono circa un migliaio per una produzione stimata in 45 milioni di litri. Siti specializzati calcolano che nell’intervallo tra il 2009 e il 2014, l’Italia è passata da 256 birrifici a 599, con una crescita media del 134%. In questo contesto è nata Precious, la birra artigianale orgogliosamente prodotta a Jesi.
Il fenomeno
«In Italia il fenomeno dei birrifici artigianali si sta consolidando – spiega Marco Tombini della birreria Jack Rabbit di via Federico conti a Jesi – Nella nostra zona ci sono realtà molto serie come Il Birrificio dei Castelli di Arcevia, Mc 77 a Macerata, Mukkeller a Porto Sant’Elpdio e ancora il Godog a Jesi. Il fenomeno è nato verso la fine degli anni Novanta e ha riguardato per lo più il Nord Italia, nelle Marche si è verificato tra il 2005/2006 con giovani imprenditori che hanno messo in piedi realtà serie e professionali vincendo riconoscimenti in tutto il mondo».
Si tratta solo di un trend di mercato o dietro a questo fenomeno c’è altro?
«C’è innanzitutto il desiderio della clientela di prodotti di qualità. La birra industriale dipende dal mercato e appiattisce il gusto perché deve arrivare ad un pubblico più vasto possibile. L’artigianale varia in base alla ricetta, non è filtrata né pastorizzata. Nel nostro territorio ci sono birre artigianali davvero speciali che noi cerchiamo di abbinare con il giusto piatto».
Possiamo dire quindi che il cliente ricerca la qualità, come per il vino?
«Si, le analogie con il vino non mancano: ad esempio il legame con il territorio si sta sviluppando con l’autoproduzione dei malti ed in parte dei luppoli. Molti non sanno che ad Ancona c’è il Cobi, un maltificio che permette agli agricoltori di conferire l’orzo e ritirare il malto da utilizzare per la birra. Rimane la differenza fondamentale che la birra è lo sviluppo di una ricetta e può non avere continuità con il territorio dove viene prodotta, tra l’altro noi italiani siamo tra i più fantasiosi al mondo».
La tecnica del gusto. A proposito di autoproduzione della birra abbiamo incontrato il Mastro Birraio Thomas Mutti. Ogni birraio è una specie di piccolo chimico che realizza la sua ricetta cambiando le variabili.
Qual è la differenza principale tra l’artigianale e la birra industriale? «Sicuramente la qualità della materia prima e la passione dell’artigiano da un latro, contro l’industria che deve fatturare e quindi ottimizza i tempi e risparmia sulle materie prime. Il cliente ci sta a spendere di più per un prodotto però che sia di qualità. Lievito e luppolo sono le variabili che regalano le sfumature».
Quali artigianali hai prodotto “orgogliosamente a Jesi”? «Non tutti sanno ad esempio che ne esistono per tutti i gusti. Al Jack Rabbit ad esempio, abbiamo prodotto quattro birre: la Precious che è un’extreme Ipa molto luppolata e amara, la Beverina che come dice il nome è adatta anche ai palati più delicati, La piccola aiutante di Babbo Natale e la Celebration. Il luppolo è l’ingrediente più versatile ma con l’attrezzatura giusta, che tutti possono avere a casa, è possibile realizzare prodotti davvero buoni. La birra è per tutti, io stesso ho cominciato in casa con materiali semplici».
La clientela. Se l’Italia si sta imponendo nel panorama dei birrifici va anche detto che c’è pubblico da formare e spesso non è facile. Vietato sbagliare? «C’è chi si affida totalmente al barista e chi invece parte prevenuto sostenendo che l’artigianale non gli piace – spiega Riccardo Staffolani per Spaccavia, locale sul viale della Vittoria – come barista ma anche come amante della birra mi sento di dire che bocciare in toto l’artigianale è un errore. E’ difficile offrire qualcosa di diverso al cliente perché si abitua facilmente. Nel mio locale ho messo delle artigianali molto particolari e spesso le propongo ai clienti abituali, senza dire che sono artigianali: piacciono molto, anche il neofita coglie l’autenticità del prodotto, la non omologazione del gusto, un po’ lo stesso discorso del vino».
La clientela femminile cerca il prodotto più leggero o è un mito da sfatare? «Assolutamente da sfatare: mi sono capitate clienti che amano i sapori forti mentre le “fruttate” sono gradite dagli uomini. In generale le artigianali non sono pesanti e offrono più scelta di quelle industriali: la clientela si sta formando e le artigianali vengono apprezzate sempre di più».