CASTELPLANIO – Quattordici mesi. Tanti ne sono passati dall’arrivo a Castelplanio dei ragazzi migranti richiedenti asilo. Non senza polemiche all’inizio, non senza problemi anche adesso, perché «i problemi ci sono sempre quando si affronta un percorso come questo, all’interno di una comunità», ammette il sindaco, Barbara Romualdi.
«Ma siamo andati avanti, andiamo avanti – sottolinea – con orgoglio e voglia di fare in quanto l’integrazione si realizza se c’è collaborazione, se ci si conosce, se c’è rispetto della comunità ospitante e di chi viene ospitato. Aprendoci, conoscendoci, condividendo lo stesso percorso».
Ma come sono stati questi mesi? Cosa fanno i ragazzi ospitati, ad opera dell’associazione “Incontri per la democrazia“, nella casa di via Gioco del Formaggio?
Francesco Moschini, viterbese, 39 anni, mediatore interculturale – con lui anche Osayi Obayuwana, di Castelplanio, oriundo nigeriano, cittadino italiano, 27 anni, anch’egli mediatore interculturale – spiega che «il desiderio e l’obiettivo da quando sono qui, dal gennaio scorso, è quello che possano imparare. Imparare l’italiano, la matematica, capire come “funziona” la nostra società. E che si applichino al lavoro. Io li accompagno ovunque, in questura, dal medico, in ospedale a Jesi, ai corsi che frequentano per imparare la lingua italiana».
Francesco e Osayi sono con loro di giorno, con loro pranzano, ma poi la sera i ragazzi e le ragazze sono affidati ad altri due operatori, un uomo e una donna. La settimana scorsa erano in 33 ma il numero può anche aumentare, a seconda delle emergenze che si profilano.
«Certo, qui ne sono arrivati, nel tempo, senza che io lo sapessi – afferma il Sindaco – e questo è un modus operandi del fronte istituzionale che io non condivido e che non ho mai condiviso anche se arrivo a comprendere che si possano verificare situazioni emergenziali. Con Francesco ci sono collaborazione e confronto, sulle cose da migliorare e su quelle che stanno andando bene».
Gli ospiti provengono da 9 nazioni diverse, Costa d’Avorio, Somalia, Gambia, Nigeria, Camerun, Burkina Faso, Guinea, Mali, Senegal.
«Già è difficile l’integrazione tra tutti – sottolinea Francesco – all’interno della casa, uomini e donne, tra le loro culture, le loro diversità. L’africano non è una “cosa” unica. Il loro obiettivo sono i documenti e un lavoro. I primi vengono concessi in base alla storia personale, tenendo conto della nazione dalla quale provengono. Se arrivano da una situazione di guerra il percorso è meno difficile rispetto ad altri che pure hanno grandi problemi ma di natura diversa».
«Questo fatto, però, già condiziona il loro modo di stare qui. Il mio compito principale, quindi, è quello di motivarli, nel lavoro dell’orto, nel volontariato con il Comune, nel frequentare la scuola, sia a Jesi, nei corsi, che con me. Cerco di istruirli in ogni momento della giornata. Anche quando ci spostiamo in macchina».
Ci sono alcuni che scrivono benissimo, studiano, approfondiscono l’italiano. Altri, per tanti motivi, sono demotivati e con loro ci vogliono comprensione e pazienza. Nel giugno scorso tramite l’Anolf onlus di Ancona, è stato sottoscritto un accordo per svolgere attività di volontariato con scopi sociali e culturali secondo una progettualità concordata con il comune di Castelplanio. Hanno dato la propria disponibilità in 19, per libera scelta, ma c’è anche chi ha firmato e non si è mai proposto.
«Sino a ora abbiamo rifatto intonaci e facciata – ricorda Francesco – della vecchia scuola, tutto il montaggio e smontaggio della struttura che è servita per la “Sagra della crescia sul panaro” e la Pro loco, organizzatrice dell’evento, ha regalato loro scarpe e biciclette. Un altro campo da calcetto. Sull’unico a disposizione ci giocavano talmente in tanti che il Sindaco ci ha chiamati perché c’era quello da tennis da rimettere in sesto, da ripulire e riadattare. Così abbiamo fatto, hanno costruito anche delle porte in legno e ora ci giocano. Ognuno ha il suo spazio. Anche se i ragazzi di Castelplanio ogni tanto arrivano per organizzare un torneo, per ritornare a giocare insieme. Poi abbiamo ripulito il bocciodromo a Macine, le vie del paese. Una squadra va anche al cimitero per sistemare e pulire. Abbiamo aiutato pure l’associazione “Carlo Urbani”».
Tra gli altri progetti in cantiere, quello dell’interscambio sulla conoscenza delle lingue, loro inglese e francese, la gente del posto l’italiano. Si insegna e si impara reciprocamente.
E, poi, «ogni volta che usciamo c’è sempre qualcuno del posto che regala qualcosa, sempre. I ragazzi si sono accorti che vedendoli attivi la gente cambia la prima impressione non positiva. Parliamo molto, dico loro, ma il nostro cuore di italiani è buono…».
Hanno anche costituito un gruppo WhatsApp che si chiama “Vinciamo insieme“. Più di una scommessa, la volontà di mettercela tutta perché, altrimenti, «sono disposto a portarmene a casa diversi – dice ancora Francesco – se non trovano lavoro perché molti di loro lo meritano. Non tutti ma tanti. Sto puntando su un progetto per prepararli, ho contatti con grosse aziende per poter attivare un mercato equo e solidale perché le terre dalle quali provengono abbondano di banane, mango, ananas, miele, caucciù, che vengono accaparrati, però, dalle grandi multinazionali. Il futuro è anche nel fatto che riescano a diventare bravi nel vendere i loro prodotti. Andare nella loro terra per organizzarli e farli diventare artefici del proprio destino con il nostro aiuto. E quando ne parliamo sognano con me».
Il sindaco Barbara Romualdi ricorda ancora «le serie perplessità che ho avuto quando sono arrivati a Castelplanio. Perplessità sul numero, sulla non conoscenza dell’associazione chiamata alla gestione, il futuro, l’ordine pubblico, il posto dove sarebbero andati. Questa comunità non era pronta ma non perché non volesse, in parte, semplicemente perché non eravamo preparati. Qui c’è un’alta percentuale di popolazione extracomunitaria e sono tutti perfettamente integrati, tranne qualcuno che proprio non vuole esserlo».
Ci tiene il primo cittadino a ribadire che «la sagra è riuscita anche grazie al loro impegno e questo è stato riconosciuto pure da chi aveva, all’inizio, contestato la presenza di questi ragazzi con la famosa petizione. E questo è un traguardo che volevo raggiungere».