Jesi-Fabriano

I ricordi dell’ultimo cordaro del “Prado”

«Tante ore al giorno, all'aperto: un lavoro duro che mi permetteva di portare a casa il necessario per sopravvivere». Il cordaro Pietro Montesi ci racconta Jesi negli anni Cinquanta

Pietro Montesi

JESI – Ottantadue anni, una vita vissuta nel quartiere Prato di Jesi. Pietro Montesi è l’ultimo dei cordari, lo stesso mestiere di suo padre:

«Lavoravamo sei giorni su sette, all’aperto anche sotto la pioggia e con la neve – racconta -. Se le condizioni atmosferiche non permettevano di stare all’aperto facevamo dei lavori in magazzino».

Anche suo padre era cordaro?
«Si e dopo venti anni che facevo la corda mi disse che secondo lui la corda non mi riusciva alla perfezione, ma devo dire che mi sono arrangiato».

A che età ha iniziato a fare la corda?
«A 13 anni, subito dopo le scuole medie: si utilizzava principalmente la canapa che veniva acquistata in Romagna ma anche lino e altri materiali. Ci si lega il filo alla vita e piano piano con un feltro a protezione della mano, e l’aiuto della ruota, si inizia a realizzare la corda».

 

Con il feltro per non rovinare le mani

Per cosa veniva utilizzata?
«Molte erano richieste dalle navi ma nella nostra zona servivano per la campagna. Era un lavoro duro e pesante, tante ore per portare a casa quel che bastava per mantenersi: al Prado eravamo una quindicina a lavorare come cordari».