JESI – Ottantadue anni, una vita vissuta nel quartiere Prato di Jesi. Pietro Montesi è l’ultimo dei cordari, lo stesso mestiere di suo padre:
«Lavoravamo sei giorni su sette, all’aperto anche sotto la pioggia e con la neve – racconta -. Se le condizioni atmosferiche non permettevano di stare all’aperto facevamo dei lavori in magazzino».
Anche suo padre era cordaro?
«Si e dopo venti anni che facevo la corda mi disse che secondo lui la corda non mi riusciva alla perfezione, ma devo dire che mi sono arrangiato».
A che età ha iniziato a fare la corda?
«A 13 anni, subito dopo le scuole medie: si utilizzava principalmente la canapa che veniva acquistata in Romagna ma anche lino e altri materiali. Ci si lega il filo alla vita e piano piano con un feltro a protezione della mano, e l’aiuto della ruota, si inizia a realizzare la corda».
Per cosa veniva utilizzata?
«Molte erano richieste dalle navi ma nella nostra zona servivano per la campagna. Era un lavoro duro e pesante, tante ore per portare a casa quel che bastava per mantenersi: al Prado eravamo una quindicina a lavorare come cordari».