Jesi-Fabriano

«Ridatemi mio figlio, sono passati cinque mesi», la disperazione della mamma di un ragazzo autistico ospite del centro Azzeruolo

Gabriella Oreficini vorrebbe riportare a casa il suo Michele, ospite del centro residenziale di Jesi, ma la burocrazia le ha impedito di farlo per cinque mesi

Gabriella Oreficini

JESI – Michele ha 27 anni, è autistico. Si rende conto di cosa accade attorno a lui, anche se parla in terza persona. Interagisce e stare con gli altri lo aiuta. Per questo la famiglia ha deciso di affidarlo al centro “Azzeruolo” di Jesi, il primo centro residenziale per persone affette da disturbi dello spettro autistico delle Marche. Gestito da Cooss, il centro residenziale con sede in via Roncaglia, è una prima sperimentazione regionale che ospita pochi utenti, tra cui Michele, assistiti da un team di operatori, medici, psicologi, infermieri, oss e educatori.

«Abbiamo portato Michele a marzo dello scorso anno – racconta la mamma Gabriella Oreficini, che abita a Montemarciano – abituandolo a restare in struttura con altri tre ragazzi, dal lunedì al venerdì. Ogni sabato e domenica lo riportavamo a casa per stare con noi. Lui è l’unico ospite del centro che riesce a parlare e interagire. Ma col Covid ci sono stati problemi, abbiamo visto Michele l’ultima volta l’8 marzo e nonostante gli avessi promesso che sarei tornata a prenderlo per riportarlo a casa con noi, non è stato possibile per via del lockdown e del rischio contagio. Eravamo continuamente in contatto con gli educatori e gli operatori della struttura, che sono stati bravissimi e sempre molto disponibili. Ho (ben) riposto molta fiducia in loro e nel lavoro svolto con Michele, ma il problema è che non riuscivamo a riportarlo a casa per via della burocrazia che impediva di uscire dalla struttura».

Le persone affette da autismo, ci spiega questa mamma disperata, non tollerano bruschi cambiamenti pertanto, non potendo far uscire il figlio dal centro, il team di operatori ha cercato di creare un clima di equilibrio con gli altri ospiti e con la presenza della famiglia una volta a settimana solo attraverso delle videochiamate. «Mi chiedeva se a casa era tutto pronto, se avevo preparato il suo piatto preferito, come se volesse accertarsi che sarei andata a prenderlo – continua la madre – ma quando io cambiavo argomento per non farlo soffrire, sapendo che non mi era permesso farlo uscire dalla struttura per via delle limitazioni del Covid, Michele ha iniziato a rendersi conto e inventava mal di denti, mal di pancia per attirare l’attenzione e farsi venire a prendere. Uno strazio…Quando poi l’emergenza Covid sembrava essere passata con un parziale ritorno alla normalità, ho chiesto di poterlo riportare a casa ma dapprima mi hanno detto che essendo un’esperienza sperimentale per Michele e per gli altri ospiti, se lo avessi portato via avrei alterato un equilibrio che si era creato tra gli utenti, poi che avrei dovuto sottoporlo al tampone e alla quarantena a casa una volta usciti e che non sarebbe più potuto ritornare… insomma non c’era una soluzione. E Michele peggiorava».

La signora Oreficini ha iniziato a vedere delle crisi comportamentali di quel figlio che mai prima d’ora aveva manifestato reazioni violente. «Ha rotto un lavandino, metteva i suoi vestiti a bagno, ha anche tentato di scappare arrampicandosi e facendosi male al cancello – racconta ancora – gli hanno somministrato degli ansiolitici, ma sono quindici giorni che piange sempre, mi fa chiamare dagli operatori. E’ straziante sentirlo in quelle condizioni, anche perché lui fa fatica per la sua condizione a esprimere emozioni, non ha mai pianto prima d’ora. Ho chiesto a tutti i soggetti preposti, Regione Marche, Asur, Cooss, Comune ma nessuno è stato capace di dirmi perché non posso riportare a casa mio figlio. Sono cinque mesi che non lo vedo, cinque mesi che non si capisce perché mio figlio non possa tornare a casa».
L’appello accorato della mamma è stato accolto dall’Assessore ai servizi sociali del Comune di Jesi Maria Luisa Quaglieri che dopo diverse insistenze sembra essere riuscita a risolvere la questione. «Me ne sono voluta occupare perché capisco perfettamente il sentire di queste famiglie e questo periodo che è stato veramente duro del Covid senza vedere i propri cari è stato un problema grosso, non potevo esimermi dal portare il loro grido in Asur. Le famiglie vanno sempre ascoltate – dice l’assessore che prendendo a cuore il problema in prima persona è riuscita a risolverlo – oggi verrà fatta una comunicazione ufficiale da parte dell’Asur e per questo ringrazio la dottoressa Nadia Storti, direttore generale, per essersi impegnata in questa situazione facendo in modo che si potesse agevolare il percorso. Così le famiglie potranno vedere i propri figli e la situazione avrà un epilogo finalmente».