JESI – Sguardo limpido e sorriso aperto sotto la massa dei capelli ricci, la passione per il teatro e un motto – «Non ho nulla da insegnare, ho tutto da condividere», la jesina Valentina Fulvio è una giovane donna che ha fatto dello yoga pratica di vita e via quotidiana. In Italia e nel Rajasthan, in India, è ricercatrice e insegnante di Raja Yoga, una pratica molto antica che approccia lo yoga come disciplina spirituale, seguendo gli insegnamenti di Swamiji Kapri, yogi di lignaggio himalayano e monaco errante. Una pratica che l’ha condotta, tra l’altro, a condurre laboratori di yoga in ospedale per pazienti oncologici.
Valentina, cosa ti ha portato sulle vie dello yoga?
«È stato l’amore per il teatro a farmi incontrare la pratica Yoga quando a 21 anni sono stata folgorata dal lavoro del Living Theatre Europa e di Gary Brackett, regista, attivista e insegnante di Yoga arrivato in Italia dopo aver vissuto e lavorato accanto a Judith Malina. C’è una stretta sinergia tra training attoriale e percorso yogico: i processi di ricerca corporea e creativa, nel mio caso, hanno sempre finito per sconfinare nella ricerca spirituale. Il training teatrale è stato un veicolo nella scoperta del potenziale espressivo del corpo, un mezzo per fare luce sui vissuti interiori superficiali e su quelli più nascosti, uno spazio intimo, di libertà, fragilità e bellezza che facevo sempre molta fatica a ritrovare nel momento in cui ci si doveva confrontare con un pubblico. Questo senso di verità interiore, di libertà attraverso la disciplina e di fedeltà a me stessa senza compromessi è esattamente quello che trovo e che mi nutre lungo la via dello Yoga. Con il senno del poi questo viaggio è stato molto più naturale e necessario di quanto abbia percepito durante tutte le transizioni critiche che mi hanno portato a rompere con un lavoro e una quotidianità che non mi appartenevano più per fare il grande salto oltre la zona di comfort.».
Ci racconti del tuo maestro Swamiji Kapri e della sua scuola, il Pushkar Meditation Temple, in cui insegni?
«Con gli occhi sorridenti, la barba lunga e la saggezza benevola di chi ha i capelli bianchi, Swamiji dedica la sua vita al servizio e alla diffusione dello yoga inteso nel suo significato originario e autentico di disciplina spirituale. Lo fa con grande rispetto e reverenza per la disciplina, e allo stesso tempo, con disponibilità, senso dell’umorismo e curiosità nei confronti del mondo occidentale e asiatico contemporanei. Quest’apertura e la predisposizione alla comunicazione lo hanno portato, negli ultimi 20 anni, ad incontrare quotidianamente viaggiatori e ricercatori provenienti da tutto il mondo, a cui Swamiji offre la possibilità di partecipare alla routine quotidiana del Pushkar Meditation Temple, l’ashram in cui vive ed insegna a Pushkar, in Rajasthan (a nord ovest dell’India). Al Pushkar Meditation Temple, in cui ho completato la formazione come insegnante e dove, dal 2017, ritorno ogni anno per assistere Swamiji, la giornata inizia presto: la sveglia suona alle 5 e 30 e dopo il rituale quotidiano della doccia fredda si parte per una meditazione camminata in silenzio attorno al lago sacro dove ogni mattina all’alba devoti hindu, pellegrini e sadhu scendono le scalinate dei ghat per immergersi e compiere i loro rituali di preghiera e purificazione. A seguire, si rientra a casa per la pratica Yoga e la classe di filosofia, in cui Swamiji condivide il suo incredibile bagaglio di conoscenze filosofiche riguardo lo Yoga e le scritture vediche e le esperienze di vita e gli incontri straordinari fatti durante i dieci anni da monaco errante, in cui ha camminato scalzo e attraverso i monti dell’Himalaya. Le pratiche continuano nel pomeriggio con la classe di Yoga e il Satsang (canto dei mantra della tradizione indiana). Insomma, al Pushkar Meditation Temple l’assimilazione della disciplina procede attraverso un’esperienza diretta e intensiva che richiede un’autentica messa in discussione. È solo attraverso l’esperienza e la pratica che il seme della trasformazione può germogliare».
Come è cambiata la tua vita dopo l’incontro con lo Yoga?
«Dopo l’incontro con lo Yoga la mia vita è cambiata radicalmente a partire dalle abitudini quotidiane: da animale notturno quale sono sempre stata, ho scoperto il significato della mattina che oggi è il momento della giornata che preferisco; quando ancora la città dorme, e, nel silenzio, posso dedicarmi ai miei rituali quotidiani che danno la nota vibrazionale a tutta la giornata. Lo Yoga produce un affinamento della capacità di ascolto che ad un certo punto comincia ad andare oltre i momenti della giornata dedicati alla pratica… ed è come se non si possa più fare a meno di ascoltarsi! Sono diventata molto più attenta e molto più selettiva rispetto a tutto ciò di cui mi nutro: dal cibo, ai pensieri, alle persone che frequento, alle letture che faccio, ai film che vedo etc. Cerco di fare in modo di alimentare il corpo e soprattutto la mente con cibi che siano sani e nutrienti… e quando non lo faccio ne pago le conseguenze… molto più di prima! È un’auto-educazione e un processo di auto-osservazione continui, che non hanno fine».
Sei insegnante certificata di Raja Yoga. Cosa distingue questa pratica dalle altre?
«Nella scuola di pensiero del Vedanta lo Yoga è concepito come un viaggio della coscienza dal grosso al sottile, dalla materia allo spirito. Una disciplina spirituale finalizzata alla realizzazione della nostra natura autentica e alla conoscenza profonda di sé. Partendo da questo presupposto, le scritture vediche distinguono quindi tra quattro vie: il Karma Yoga (Yoga dell’azione), il Bhakti Yoga (Yoga della devozione), il Jnana Yoga (Yoga della conoscenza) e il Raja Yoga, lo Yoga “della via regia” o del processo che è l’unico in cui si parla di asana (posizioni del corpo), all’interno di un percorso assai più complesso e articolato. Con l’esplosione mondiale del mercato dello Yoga nel contesto di una cultura sempre più visiva (pensiamo all’immagine dello Yoga sui social network), si è generata una grande confusione rispetto alla natura di questa disciplina che, nella percezione comune, viene spesso identificata con la pratica delle asana a cui si attribuiscono come primari obiettivi fisici e/o terapeutici che invece sono effetti ‘collaterali’ sulla via della conoscenza di sé. Aspirare alla pratica del Raja Yoga significa per me confrontarmi con lo Yoga autentico, in un percorso di avvicinamento graduale che vuole svincolarsi dalla logica del risultato per tornare alla sua essenza di pura ricerca».
Lo Yoga è una disciplina per tutti?
«Assolutamente sì: il pregiudizio secondo cui lo yoga è una specie di ginnastica adatta solo ai corpi giovani e allenati è una conseguenza della confusione di cui parlavamo prima e è da smantellare! Lo yoga è un percorso di ricerca interiore che può adattarsi a qualsiasi fascia d’età e condizione fisica. Educa il corpo e la mente e questa valenza pedagogica lo rende una pratica educativa divertente ed efficace adatta a bambini e adolescenti. Fioriscono gli studi scientifici sui benefici dello yoga per gli over 65 mentre si moltiplicano le esperienze e gli studi medici sullo yoga in ambito ospedaliero e oncologico: promuovendo l’ascolto di sé lo yoga favorisce il processo di disidentificazione con la malattia e l’attivazione delle risorse interiori al fine di sviluppare un atteggiamento positivo e di spostare la prospettiva da cui si percepiscono gli eventi allontanando paure e preconcetti errati».