STAFFOLO – Secondo gli esperti di “Wine Enthusiast Magazine”, il vino bianco più buono al mondo è marchigiano, il Verdicchio. Ma in realtà…si sapeva. Ovvero, questo riconoscimento da parte dell’autorevole rivista di settore britannica che inorgoglisce in primis il presidente della Regione Marche Francesco Acquaroli («Un riconoscimento importante che promuove, oltre al vino, un territorio intero fatto di tante eccellenze da scoprire, vivere e valorizzare», aveva dichiarato il 30 novembre) arriva al culmine di un percorso di attestazione del nostro ambasciatore al calice nel mondo. Parola dell’enologo di fama nazionale Giancarlo Soverchia, agronomo e consulente presso molte aziende vinicole sia marchigiane che dell’Emilia Romagna.
Quindi, si sapeva che il Verdicchio è il migliore?
«Certo, il Balciana di Sartarelli con l’annata 1997 aveva conquistato il White Trophy e l’Italian White Wine Trophy dell’International Wine Challenge di Londra nel 1999. Una grande affermazione per il nostro Verdicchio che per la prima volta calcava un palco internazionale. Oggi, esattamente venti vendemmie dopo, la storia si ripete. Il Balciana 2017 conquista per la seconda volta l’Italian White Trophy all’International Wine Challenge e premia il lavoro dei nostri produttori, la generosità delle nostre terre e un processo di vinificazione rispettoso della grande qualità delle uve».
Lei è stato appunto pioniere di un processo di vinificazione più… naturale?
«Sì, esattamente. Mi sembrava banale la vinificazione che veniva fatta nelle nostre zone circa 30 anni fa, usando solfiti e agenti chimici. Sono nato e cresciuto a Staffolo, la culla del Verdicchio. Ho iniziato a lavorare sui vigneti, sulla qualità delle uve e avendo una specifica competenza proprio sulle uve, ritenevo massacrante il lavoro dell’enologia tradizionale. Il giusto uso delle uve era, anzi, doveva essere un altro».
E quindi, che rivoluzione ha portato?
«Le uve venivano trattate “male”, con prodotti chimici, oggi per fortuna quel processo è stato abbandonato. Se le uve erano buonissime e di alta qualità, perché trattarle chimicamente? Così, collaborando con diversi produttori, ho introdotto una vinificazione naturale, più rispettosa delle uve e del prodotto finale. Questo ha favorito anche il proliferare di altre aziende vinicole (19 solo a Staffolo) dove lavoravano anche molti giovani, dando il ricambio generazionale agli anziani e creando un indotto anche sociale nel paese, mentre altrove si assisteva a uno spopolamento delle zone rurali e l’abbandono dei vigneti».
Questa esperienza però l’ha esportata anche fuori dalle Marche…
«Come consulente collaboro anche con aziende dell’Emilia Romagna dove ho esportato il processo di vinificazione naturale che valorizza i vigneti e le uve di quei territori».
Recentemente è stato insignito del prestigioso Premio Verdicchio d’Oro, proprio a Staffolo, riconoscendo in Lei l’eccezione del profeta in patria…
«In realtà l’Accademia della Cucina ha riconosciuto il merito del mio lavoro di enologo e agronomo, sia per questa attenzione alla vinificazione naturale che per il mio lavoro di ricerca e recupero di antichi vigneti per non disperdere materiale genetico che potrebbe essere utile per la Regione, come il famoso “Incrocio Bruni” fatto dal professor Bruni e il recupero dell’antico vitigno “Garofonata” nei vecchi impianti di Verdicchio. Sono molto orgoglioso di questo premio che mi è stato conferito proprio nella mia Staffolo».