ANCONA – Autunno, tempo di legumi e dunque anche tempo di fave. Come ogni anno in questa stagione torna puntualissima sulle tavole dei marchigiani la fava, utilizzata con grande fantasia in numerose ricette, insieme ad altri legumi o anche da sola. Ma nelle Marche quando si dice fava si dice soprattutto fava in porchetta, uno dei piatti più caratteristici di questa terra, nonché espressione di una tradizione culinaria contadina che tende a far “tesoro” di ogni cibo. Coltivato in tempi remoti già nella Penisola Ellenica, questo legume dalle antichissime tradizioni, nelle Marche, ha ottenuto nel maggio scorso il Presidio Slow Food, a tutela di una varietà che stava scomparendo: la fava di Fratte Rosa, caratteristica della provincia di Pesaro e Urbino. Ma prima ancora del presidio, già nel 2000 l’Associazione Favetta di Fratte Rosa aveva avviato un percorso di valorizzazione di questa fava, la cui coltivazione era ormai riservata agli orti di pochi contadini, dopo essere stata quasi del tutto abbandonata nel dopoguerra.
Il presidio Slow Food
La Fava di Fratte Rosa è una varietà di legume iscritta nel Repertorio Regionale della biodiversità agraria delle Marche, si distingue per le elevate caratteristiche qualitative, probabilmente dovute all’adattabilità delle piante al terreno argilloso tipico di queste zone, dove da più di un secolo è presente questa coltivazione. La Fava di Fratte Rosa si distingue dalle altre varietà di fave per le particolari proprietà organolettiche: sapidità, dolcezza e tenerezza anche a piena maturazione, che ne hanno promosso la diffusione e l’uso sia per il consumo diretto (cruda, cotta, conservata) che in forma di farina (con aggiunta o meno di farina di grano) per preparare particolari paste alimentari, la più nota nel territorio sono i tacconi.
«In seguito alle misurazioni degli zuccheri totali e dell’acidità titolabile sul seme fresco, si è riscontrata la presenza di zuccheri elevata e un basso contenuto in acidi totali – spiega la professoressa Laura Mazzanti, Ordinario di Biochimica, Scuola di Specializzazione Scienza dell’Alimentazione, Membro Del Comitato Etico Regionale – Queste due componenti ne danno il sapore particolare, che rende il prodotto ottimo per il consumo fresco, che risulta particolarmente dolce e tenero anche a piena maturazione». Nell’ambito di un progetto di valorizzazione nutrizionale dei prodotti della biodiversità agraria marchigiana l’università Politecnica delle Marche, nella figura della professoressa Gianna Ferretti, Associato di Biochimica, Direttore Centro di Nutrizione e Promozione della Salute, Dipartimento di Scienze Cliniche Specialistiche ed Odontostomatologiche, Facoltà di Medicina e Chirurgia di Univpm, in collaborazione con l’Assam ha valutato le caratteristiche nutrizionali delle fave e i dei prodotti da loro derivati. Da questa analisi è emerso che «in comune con gli altri legumi, sono la principale fonte di proteine vegetali, fibre, sali minerali come ferro e calcio, inoltre contengono carboidrati a basso indice glicemico. Le fave contengono inoltre molti fitonutrienti tra cui saponine e polifenoli, dall’elevato potenziale antiossidante, che contribuiscono alla qualità nutrizionale di questi legumi», sottolinea la professoressa Ferretti.
Una specie autoctona, la fava di Fratte Rosa, che viene coltivata in un particolare tipo di terreno argilloso e calcareo, chiamato “Lubaco”. Le zone di produzione di questa varietà comprendono, oltre al territorio del Comune di Fratte Rosa, i Comuni di Barchi, San Lorenzo in Campo, Pergola e Mondavio. Il recupero del seme della favetta di Fratte Rosa è stato reso possibile grazie alla scommessa di alcuni produttori, nell’ambito di un progetto teso a salvare dall’estinzione questa specie, coordinato dal Comune di Fratte Rosa in collaborazione con il GAL Flamina-Cesano, il CRA, l’ASSAM e l’Università Politecnica delle Marche.
Questo tipo di fava, il cui nome botanico è Vicia Faba Major, si caratterizza per il baccello corto, che racchiude quattro semi, grandi e tondeggianti, dal sapore particolarmente dolce e dalla consistenza tenera anche a piena maturazione. Si semina a ottobre e si raccoglie a maggio, ma si consuma essiccata tutto l’anno, specie in autunno. Una coltivazione, quella dei produttori della fava di Fratte Rosa, che non utilizza azoto e potassio e che esclude il diserbo chimico. Ogni anno, nel secondo weekend di maggio, si tiene a Torre San Marco la festa della Fava e delle Guide, un’occasione unica per gustare sul posto i piatti della tradizione locale.
La fava nella tradizione marchigiana
Quando i contadini dovevano dividere il raccolto con il padrone finivano per trovarsi con poco grano, ecco perché si era diffuso il consumo di questo legume, che andava a colmare la carenza di grano. Alimento povero, la fava, sia fresca che secca, era l’ingrediente principe di molte ricette.
Le “vergare”, ovvero le casalinghe marchigiane, la trasformavano in farina e la utilizzavano, mescolata a quella di grano, per preparare un squisito pane o della pasta, chiamata “tacconi“. Questo formato di pasta viene preparato ancora oggi a Fratte Rosa, dove viene condito tradizionalmente con il sugo ai funghi. Un nome suggestivo, quello dei tacconi, dovuto con tutta probabilità alla somiglianza con le strisce di cuoio che avanzavano dalla rifilatura delle suole delle scarpe, utilizzate per i tacchi. Ma le fave si consumavano anche nella “baggiana“, una tipica minestra di verdure, preparata con cicorie, bietole e barba di frate, alla quale venivano unite, durante la cottura, le fave secche lessate e sbucciate. Ma la leccornia in assoluto più caratteristica sono proprio le fave in porchetta, condite con finocchio selvatico e pancetta di maiale.
La ricetta: i tacconi ai roscani
Una ricetta originale elaborata dalla professoressa Laura Mazzanti
Ingredienti:
– 320 grammi di tacconi
– 1 spicchio di aglio
– 150 grammi di pomodorini
– 50 grammi di olive
– 250 grammi di agretti
– q.b. sale
– 1 mazzetto di basilico
Preparazione
Prendere gli agretti, mondarli eliminando le radici e lessarli in acqua bollente e salata per 5 minuti. Saltare gli agretti in un tegame con l’aglio intero, 6 cucchiai di olio extravergine di oliva, un pezzetto di peperoncino tritato e cuocere per 3-4 minuti. Eliminare i semi dai pomodorini, tagliarli a filetti e aggiungerli agli agretti. Unire le olive tagliate a metà, mescolando bene. Cuocere i tacconi in acqua bollente. Nel frattempo pulire 10 foglie di basilico in abbondante acqua e lasciarle sgocciolare sulla carta assorbente da cucina. Una volta cotte, scolare i tacconi e condirli subito con il sugo preparato. Impiattare e servire guarnendo con le profumate foglie di basilico fresco.
Cosa sono i roscani?
Il vero nome dei roscani o agretti è salsola soda, spiega la professoressa Mazzanti. «Dietro questo nome si nasconde una pianta appartenente alla famiglia Chenopodiaceae. Ma le tradizioni popolari hanno assegnato agli agretti molti nomi, variabili a seconda delle tradizioni: in Umbria sono noti anche come riscoli o arescani, in Romagna si chiamano lischi e nelle Marche vengono definiti roscani. In tutto il resto del paese, a causa della loro forma allungata, gli agretti sono noti anche come barba di frate, barba del Negus e senape dei monaci. Il termine più comune per definire questa pianta, agretti per l’appunto, deriva dal suo sapore acre, acidulo. La pianta di agretti ha piccole dimensioni, si presenta come un cespuglio e non supera i 70 centimetri. Ha un ciclo di vita annuale ed è una pianta costituita da foglie e fusto succulenti e commestibili, tendenti al rosso. La si trova solitamente in primavera. La salsola soda è una pianta alofita, quindi capace di adattarsi a terreni marini: per questo è ricca di sali minerali, cresce di solito in zone costiere ed è diffusa nel bacino del Mediterraneo. È resistente agli attacchi dei parassiti e quindi si presta molto bene alle coltivazioni domestiche e biologiche, quindi prive di pesticidi».
Gli agretti hanno molteplici usi in cucina, dove si usano le piante giovani, soprattutto i germogli. «In passato la pianta veniva usata come importante fonte di soda, estratta dalle sue ceneri dopo aver bruciato la pianta – precisa la professoressa – Questo materiale veniva usato per produrre il vetro nelle vetrerie di Murano, ma anche per fare il sapone. Gli agretti sono originari del continente euroasiatico e del Nord Africa. La pianta è diffusa in Italia, in particolare in Sicilia. Importata negli Stati Uniti, qui è presto diventata una specie invasiva, soprattutto sulle coste saline della California. Gli agretti sono anche la verdura dello Shabbat. Infatti, nella tradizione culinaria della comunità ebraica romana, gli agretti sono uno dei piatti principali serviti per lo Shabbat, la festa del riposo che viene osservata ogni sabato, durante il periodo della primavera. Anche se non è un alimento parte della tradizione Kasher, l’uso della barba di frate nelle cucine del ghetto risale ormai a tempi antichissimi».
Valori nutrizionali e proprietà
«Gli agretti sono prima di tutto ricchissimi di acqua: mangiarli significa prendersi cura dell’idratazione del proprio corpo – evidenzia Laura Mazzanti – hanno una forte azione depurativa, dato che questo vegetale stimola la diuresi e sono molto ricchi di vitamina A (quindi con forti proprietà antiage), B e C, contengono sali minerali, tra cui potassio, calcio, magnesio e ferro. In più, contengono molte fibre insolubili e per questo stimolano le funzioni intestinali, fungendo da blando lassativo. Si tratta di un alimento consigliato per le diete dei diabetici e per chi soffre di colesterolo alto. Inoltre, è un valido aiuto per contrastare allergie cutanee ed eczemi, frequenti soprattutto in primavera. Per sfruttarne al meglio i benefici, gli esperti consigliano di consumarli almeno una volta al giorno per un mese per un perfetto detox primaverile. Questa pianta ha un basso contenuto calorico: per 100 grammi di agretti si assumono solo 17 calorie».