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Il cappello, da Anversa a Montappone tra tradizione e creatività

Ancora per qualche giorno nelle Marche la mostra itinerante nella sede del Museo del Cappello a Montappone. Partita dalla città belga ritornerà a Busto Arsizio: ha coinvolto studenti provenienti da tutta Europa

Museo del Cappello-Montappone

MONTAPPONE (Fm) – Lo indossano gli operai e gli ingegneri nei cantieri, i preti e i vigili del fuoco, le forze dell’ordine e i cuochi. Lo avevano in testa le suffragete e lo usano oggi i giovani appassionati di skateboard. Tanti significati, molteplici declinazioni per un unico accessorio, il cappello. Ce lo ricorda e lo celebra ancora per pochi giorni qui nelle Marche una mostra dal titolo “Cappello accessorio necessario”: un’esposizione itinerante che nasce dal dipartimento tessile dell’Accademia di Anversa e fino a mercoledì 3 maggio sarà visitabile al pubblico a Montappone, all’interno del Museo del Cappello che si affaccia su piazza Roma. Qui, in questo territorio, infatti, è nato quello che oggi è considerato il più importante, se non l’unico, distretto del settore in Italia con circa 65 aziende di varie dimensioni, che diventano un centinaio se si considera l’indotto. Più di 2mila gli occupati con un giro di affari di 150 milioni di euro di fatturato all’anno, le cui produzioni arrivano in Russia, Sud Africa, Australia, Stati Uniti ed Europa. Ma il 75% del mercato è quello italiano.

Dunque, da Montappone, tutto è partito. I primi documenti ufficiale risalgono al XVIII secolo, quelli che però parlano di “fabbrica” e di una organizzazione del lavoro sono dell’Ottocento; il distretto prende il via dopo la guerra, negli anni Cinquanta. Quelli indossati dalle mondine del film “Riso Amaro” con Silvana Mangano provengono proprio da qui. Accanto alla storia economica convive però quella della tradizione orale e l’origine del cappello di paglia di Montappone si perde nella notte dei tempi. Una storia racconta “di un re con una figlia bellissima promessa in sposa a chi le avesse realizzato il copricapo più bello”. Arrivarono principi da ogni posto con cappelli ricchissimi. Nessuno conquistò il cuore della fanciulla il cui capo, però, fu valorizzato da un semplice cappello di paglia a lei donato da un contadino del posto. A raccontare questa storia Giuliano De Minicis, un imprenditore che per mantenerne viva la memoria e per valorizzare questo piccolo territorio dove si coltivava il grano ha pensato, aiutato da colleghi, di realizzare un museo. «È stato per me un ritorno alle origine – spiega al telefono – perchè i miei nonni lavoravano la paglia. Qui tutti sapevano intrecciare e della paglia si recuperava tutto. Mi piaceva trovare un modo per dialogare con questi posti e nello stesso tempo restituire dignità a questo vecchio lavoro e a queste conoscenze».

Museo del Cappello di Montappone

Il Museo del Cappello è del Comune ed è gestito da anni da Amerino Clementi che su prenotazione apre le porte di questa realtà che custodisce più di 300 cappelli, da quelli tradizionali a quelli più originali dovuti anche all’iniziativa “Il cappellaio pazzo”: creazioni da mettere in testa realizzate in forme o materiali che richiamano le attività produttive delle Marche, dall’enogastronomia alla ceramica, dal vetro ai fili del tombolo alla calzatura. Una realtà in movimento all’interno di un borgo di 1600 abitanti, che ha visto passare scolaresche da tutta Italia e personaggi “famosi” come il critico d’arte Sgarbi o il compositore Mogol. «Il

Dunque, ancora per pochi giorni, la mostra “Cappello Accessorio Necessario“, patrocinata dal Comune di Montappone, dal Museo del Cappello, dal Comune di Busto Arsizio, dalla Camera di Commercio di Fermo, dal Coordinamento Tessitori, dalla Bottega Artigiana e dalla Federazione Italiana Industriali dei TessiliVari e del Cappello. Ventuno fra i lavori in mostra provengono dal Belgio, la Russia, la Croazia e l’Olanda. «Il cappello oggi, come nel passato assume tanti significati – dice Stefanella Sposìto, docente di progettazione moda all’Istituto Professionale di Stato di Milano, e coinvolta in questa iniziativa -. Può seguire le mode, certo, ma nello stesso tempo indicare delle professioni, lo stato di appartenenza ad una classe sociale, ad un gruppo, ad un’idea politica come, di recente, i berretti rosa delle donne americane che hanno manifestato contro Donald Trump. Ed è talmente diffuso nella vita quotidiana che quasi non lo vediamo più: pensiamo a quelli dei bambini o delle persone che indossano una uniforme».

«Il cappello si presta a molte declinazioni: protezione, insegna, decorazione, ciascuna funzione trova in mostra interessanti interpretazioni – dicono gli organizzatori -. Una giuria di professionisti ha selezionato ventisette lavori fra quelli pervenuti. Ulteriori dieci sono stati scelti dal consiglio degli insegnanti dell’Accademia di Anversa. Quindici sono i lavori selezionati da una rosa di cinquantuno presentati dalle sette scuole superiori che hanno accolto il bando». Un’occasione per riflettere e conoscere più da vicino ciò che ogni tanto portiamo in testa.

 

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