ANCONA – «La politica italiana? Vive una delle fasi più delicate della sua storia e l’elezione bis dell’attuale presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ne è la prova». A dirlo, è il professor Marco Severini, docente di Storia dell’Italia contemporanea dell’Università degli studi di Macerata. Con lui, parliamo di 25 aprile (e non solo).
Il 25 aprile – lo sappiamo tutti (o almeno dovremmo) – è l’anniversario della Liberazione italiana dal nazifascismo. È in questa giornata di primavera, infatti, che in Italia si celebra la Festa della Liberazione dal regime fascista e dall’occupazione militare tedesca dell’esercito nazista.
Il 25 aprile di 77 anni fa, i partigiani italiani liberavano dunque le città di Milano e Torino. Sarà solo nella prima settimana di maggio, però, che terminerà la Seconda guerra mondiale.
Professor Severini, quale analogia c’è tra i partigiani italiani e la resistenza ucraina?
«In realtà le analogie sono quasi sempre errate. In questi oltre 50 giorni di guerra russo-ucraina, ne ho sentite davvero di tutti i colori. Ma non si può fare un simile paragone, poiché si tratta di due secoli profondamente diversi».
Da un lato il Novecento e dall’altro il Ventunesimo secolo…
«Esatto. E del Ventunesimo secolo abbiamo vissuto appena 22 anni. Un secolo che si profila profondamente diverso dal ‘900. Le faccio un esempio…».
Prego…
«Lo smartphone condiziona le nostre vite dal 2008, nel secolo scorso non esisteva e le due rivoluzioni digitali, di cui tutti gli esseri umani sono stati oggetto (quella degli anni ’80-’90 e quella degli inizi del nuovo secolo), hanno cambiato il modo di relazionarsi e di vivere. Avere un cellulare ha comportato l’esaltazione dell’individualismo, perché tale strumento è sovrastimato e si pensa che si possa fare tutto con la digitalizzazione».
Torniamo al 25 aprile: cosa c’entra lo smartphone?
«C’entra con l’individualismo. In questi anni, sono cambiate molte cose, ma a non essere cambiato, forse, è lo stile di vita degli italiani. A dominare è una certa idea di capitalismo, di ricerca del successo e di affermazione. Abbiamo dimenticato i valori e i principi su cui è edificata la nostra Repubblica. Una Repubblica costruita su due matrici».
Ci spieghi…
«Da una parte, la matrice antifascista, dall’altra quella costituzionale. Cioè, l’idea di tutti i partiti (tranne quelli di derivazione fascista e dittatoriale) di scrivere assieme la nuova legge fondamentale dello Stato. La nostra è una delle migliori Costituzioni del mondo. Il segreto? Quello spirito costituente che oggi manca».
Ah sì?
«Sì, basti pensare che l’antifascismo, oggi, è tutelato più dalle associazioni che dai partiti. Si veda l’enorme successo dell’Anpi di questi ultimi anni»
Parliamo di partiti e di politica: com’è la situazione oggi in Italia?
«La politica italiana vive una delle fasi più delicate della sua storia e l’elezione bis dell’attuale presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ne è la prova».
Cosa intende?
«Alle elezioni del Capo dello Stato (durate una settimana!), gli italiani aspettavano dalla classe dirigente una prova di attenzione e di rispetto nei loro confronti. Invece, anziché la ricerca di un accordo, ci sono stati veti incrociati. Nel mio ultimo libro, Da Conte a Draghi (Ed. Aras, 2022), parlo di una prova di immaturità laddove ci si attendeva, invece, un atto di consapevolezza per la situazione difficile che viviamo, tra il covid e una guerra alle porte dell’Europa».
Una politica immatura: perché?
«Nel ceto politico italiano, sia nazionale sia periferico, non c’è il cambio generazionale. Sì, c’è stato (in parte) a livello nazionale, ma se, ad esempio, guardiamo alle difficoltà interne al Pd marchigiano, beh, quell’avvicendamento non c’è stato».
Alla luce del conflitto russo-ucraino, c’è il rischio di una deriva nazifascista per le democrazie europee?
«Simili rischi ci sono e ci sono stati. Rischi che diventano maggiori in Stati attraversati da difficoltà strutturali, come l’Italia».
Prosegua…
«L’Italia fa i conti con la questione morale, col potere invisibile che causa mancanza di trasparenza, ma anche col prevalere della rappresentanza degli interessi sull’effettiva azione politica, nonché con l’occupazione del potere da parte dei partiti e con l’eccessiva burocrazia. E vogliamo parlare dei populismi?».
Sì, parliamone…
«Prima c’è stato quello del berlusconismo, poi quello dei pentastellati. E ora ecco il populismo ibrido di Renzi. Ciò rende la situazione italiana difficile e scivolosa e queste sono le condizioni che favoriscono derive di carattere non tanto nazifasciste, quanto autoritarie. Parlerei di deriva destrorsa. Del resto, viviamo in una regione, le Marche, alla cui guida c’è oggi una giunta di destra. E le Marche erano invece tradizionalmente governate dalle forze di sinistra».
Se dico Italia?
«Rispondo Mazzini, unico vero padre della patria. Diceva che per una repubblica democratica servissero due elementi: l’iniziativa del popolo e i deliberati dell’Assemblea Costituente. Ma ce n’è un terzo, che manca nella vita italiana di oggi».
Quale?
«L’etica del dovere. Il nostro fine non è la felicità. Non si vive per sé stessi, ma per gli altri. Il nostro fine – sosteneva Mazzini – è rendere migliori sé e gli altri. La vita umana ha senso in quanto capace di migliorare le condizioni non tanto individuali, quanto collettive. Oggi si parla di un deficit economico, ma io ne vedo pure uno etico, morale, civile».
L’individualismo di cui parlava prima…
«In quanti credono nel sacrificio della propria esistenza per gli altri? I partigiani si chiamano così perché presero una posizione, anzi una parte. Si misero dall’altra parte del nazifascismo. C’era chi voleva un regime totalitario e chi, invece, combatteva per costruire un’Italia libera, democratica, moderna. Non possiamo ignorare il significato di questo passato. La nostra storia si fonda sull’asse del 25 aprile e del 2 giugno. L’asse della Resistenza e della nascita di una Repubblica democratica».