Macerata

Il caldo abbraccio degli studenti di Civitanova Marche ad Aja Monet

La poetessa blues afroamericana ha incontrato gli studenti del Liceo Leonardo da Vinci. «Si intravvede la luce nei suoi occhi mentre parla di ciò che le sta a cuore»

Aja Monet, foto di Fanny Chu Wiide

Il caldo abbraccio degli studenti marchigiani ad Aja Monet, una delle autrici più influenti della nuova cultura nera americana. La poetessa blues surrealista, attivista e organizzatrice di comunità, è arrivata nelle Marche il 6 novembre per un’esclusiva nazionale al Teatro Le Logge di Montecosaro, ospite del MountEcho’ festival con il suo nuovo album, “When the poems do what they do”.

La Monet è una figura di spicco, un’autrice che ha conquistato il leggendario Nuyorican Poets Cafe Grand Slam poetry award nel 2007 e che è stata candidata per il NAACP Literary Award for Poetry nel 2018. Nel 2019, ha ricevuto il Marjory Stoneman Douglas Award for Poetry per il suo straordinario impegno nell’organizzazione culturale nel sud della Florida. La sua voce risuona con un potente messaggio di resistenza e resilienza.

Il giorno seguente il concerto, l’artista ha incontrato gli studenti del Liceo Leonardo da Vinci di Civitanova Marche per parlare di poesia. È stato un incontro molto intenso, emozionante, che dalle ore 11 si è prolungato fino alla campanella che segnava la fine dell’ultima ora. A raccontare questa mattinata speciale è una studentessa della 3A del Liceo Classico, Greta Sergi.

«Aja Monet insegna l’umanità attraverso la poesia. Si intravede la luce nei suoi occhi mentre parla di ciò che le sta a cuore», scrive la ragazza nella sua lunga cronaca, che potete leggere qui di seguito.

«aja monet, in minuscolo come lei preferisce, pluripremiata poetessa americana, varca le porte dell’auditorium del liceo e la prima domanda che ci salta in mente è come abbia fatto ad arrivare qui, da Los Angeles a Civitanova, il sette novembre, a raccontare il suo lavoro a una platea di adolescenti italiani. Dal pulpito dell’aula magna non è sempre facile catturare l’attenzione, ma aja ha qualcosa di speciale: intervistata dalla docente di inglese Barbara Poggi, riesce sin da subito a farsi ascoltare, parlando di poesia in una maniera completamente differente da quella a cui ci ha abituati la scuola.

aja si definisce una surrealist blues poet: si rispecchia fin dagli albori della sua carriera nel genere surrealista e interpreta ciò che scrive accompagnata dalla musica blues, emotiva e intima, perfetta cornice per le sue parole, energiche e vigorose, cariche contemporaneamente di malinconia e vitalità.

Racconta di come è arrivata a poter essere chiamata poetessa a tutti gli effetti: un percorso iniziato alle superiori, dove vinse un talent show e si rese conto che quella sua passione, nata dall’interesse per la lettura e dal supporto di un gruppo di ragazzi nerdy quanto lei, sarebbe potuto diventare un vero e proprio lavoro. Non sempre ha ottenuto il supporto della famiglia ma scrivere era diventato fondamentale per esprimere al meglio la propria interiorità. Il trampolino di lancio è arrivato con la vittoria del Nuyorican Poets Cafe Grand Slam poetry award nel 2007: la vincitrice più giovane della storia, a soli 19 anni. 

Ma cosa significa essere poetessa in un mondo in cui, grazie ai social, chiunque può dichiararsi artista? Secondo lei, per esserlo non basta scrivere qualcosa e postarlo, ma bisogna rendere la poesia uno stile di vita: è poeta colui che guarda il mondo e con le sue parole ne tira fuori la bellezza. aja è così, trasuda poesia in ogni suo gesto e si intravede la luce nei suoi occhi mentre parla di ciò che le sta a cuore.

E lei, che è così impegnata nel sociale, finisce a riflettere sul significato della parola “umanità”, che spesso ricorre nei suoi testi, tanto più ora che la visione di immagini catastrofiche, di un’umanita sempre più disumana, dilagano nei social e ci portano a “deumanizzarci”, ad assistere all’orrore passivamente in virtù della lontananza degli echi di guerra, dei disastri, delle sciagure perché, in fin dei conti, “se succede lontano non è un mio problema”. Eppure in particolare noi giovani, che ci spesso siamo immersi nelle piccole problematiche che ci circondano, siamo in realtà connessi col mondo più di quanto crediamo e bisogna quindi sviluppare un pensiero critico personale per continuare a scandalizzarci di fronte agli orrori del mondo e riappropriarci di questa nostra umanità. Così la poesia è diventata per aja un nuovo modo di raccontare la verità, ciò che per lei è più importante.

La poetessa, guardando negli occhi ogni studente, ci ricorda imperterrita che il futuro siamo noi e lo fa con una fermezza che convince tutta la platea e, tra applausi scroscianti, induce gli studenti del liceo ad avvicinarsi a lei e porle una, due, dieci domande, in un turbinio di curiosità e desiderio di confronto. C’è chi indaga sulle sue ispirazioni poetiche, chi chiede come si faccia a superare il “blocco dello scrittore”, chi domanda come trovare il coraggio di buttarsi in qualcosa di nuovo e sconosciuto. La scrittrice, dunque, risponde sottolineando come sia necessario, per crescere artisticamente e non, fare e provare comunque, anche se si ha paura. 

Con la sua profonda semplicità, aja monet ha conquistato tutta la platea e ha portato nel nostro liceo un’immagine di poesia che va al di là di metrica e rime, ma è denuncia e libertà: un’arte che veicola al meglio ciò che la nostra interiorità è si interroga sull’umanità che, mai come oggi, rischiamo di perdere.

Il titolo del suo album, “When the poems do what they do”, tradotto in italiano con “Quel che fanno le poesie”, si rivela perfettamente nel momento in cui mja chiude gli occhi e recita dolcemente, quasi cantando, una delle sue liriche, lasciando tutti a bocca aperta. Perché è questo che fanno le poesie: stupiscono e creano dal nulla, pura magia».