Macerata

Agroalimentare, Federico Maccari di Confindustria Macerata: «Crisi che viene da lontano»

Il presidente di sezione: «Già da un anno siamo in difficoltà e molte aziende stanno andando verso la chiusura»

Federico Maccari

MACERATA – Il caro energia sta causando effetti che riguardano sia le imprese che le famiglie.

La corsa inarrestabile dei prezzi delle materie prime energetiche e un’inflazione che ormai tende a superare l’8% in gran parte determinata proprio dalle tensioni sulle materie prime causate dalla guerra in Ucraina, si sta abbattendo sui bilanci delle imprese con un aumento del conto energia che diventa sempre più insostenibile. Questa situazione di emergenza sta comprimendo i già bassi margini operativi di molte aziende, in precedenza indebolite dalla recessione attraversata nelle prime due fasi della pandemia e ora con il rischio di portare al rallentamento, se non addirittura alla chiusura, di tante attività con potenziali pesanti conseguenze di ordine sociale oltre che economico-finanziario.

«Purtroppo c’è un settore che prima degli altri è entrato in una spirale prima negativa e ora recessiva ed è quello agroalimentare». A dirlo è Federico Maccari, vicepresidente di Confindustria Macerata e Presidente della Sezione Agroalimentare. «Proprio in questi giorni decorre ormai un anno dall’avvio del momento più buio del dopoguerra in questo settore – ricorda – che è cominciato con l’impennata del prezzo del grano duro raccolto nel 2021, per una sottoproduzione determinata da fattori climatici sfavorevoli in Canada e Stati Uniti e tali da influenzare pesantemente anche la quotazione del grano duro prodotto in Italia, ed è proseguita con l’aumento del prezzo dei carburanti, che ha fatto impennare i costi di produzione degli imballaggi e quelli per la logistica e il trasporto, culminando poi adesso con gli insostenibili costi energetici figli di derive speculative da parte dei produttori ed esportatori di gas».

Eppure il conflitto russo-ucraino, pur nella sua drammaticità, non avrebbe dovuto avere effetti così dannosi sul sistema economico europeo, italiano e marchigiano almeno del settore agroalimentare. L’importazione da quei paesi riguarda pochi prodotti. Russia e Ucraina producono il 12% delle calorie scambiate nel mondo: il 75% dell’olio di girasole, il 29% dell’orzo, il 28% del grano tenero, il 15% del mais ma avrebbe potuto essere assorbito reperendo quei prodotti su altri mercati se non fosse che alcuni giganti come la Cina, non avessero fermato l’esportazione di alcuni di quegli stessi prodotti in maniera protezionistica. «In sintesi – spiega Maccari – in una situazione di “crisi controllata” sarebbe dovuto accadere anche per l’import ciò che si sta verificando per l’export dei nostri prodotti individuando nuovi mercati, alternativi a quelli sotto embargo, e invece la situazione si è complicata ulteriormente ed ora sta degenerando».

I dati infatti evidenziano tutt’altro scenario e uno shock strutturale del mercato. La situazione congiunturale ha portato ad un aumento generalizzato dei prezzi al consumo perché la domanda è rimasta alta ma l’offerta è crollata. Rispetto al 2021 si registra un aumento medio del prezzo dei generi alimentari del 9,4%, con rincari più considerevoli negli oli alimentari di semi (+70,2%), burro (+22,6%) e pasta (+16,6%) eppure i costi di produzione sono stati ribaltati solo in minima parte sui consumatori anche per le resistenze della GDO a rivedere i listini.

«Gli aumenti sono rimasti in carico alle aziende produttrici che si trovano di fronte a un bivio: sostenere l’onere dei costi energetici (e non solo) ormai fuori controllo e auspicando in un serio, tempestivo ed efficace intervento delle istituzioni nazionali e comunitarie come attività indispensabile a salvaguardare la continuità dell’attività operativa aziendale, oppure sospendere la produzione lasciando inevasi gli ordini in portafoglio come già hanno cominciato a fare alcuni ma le cui fila si ingrossano ogni settimana con conseguenze sull’occupazione, sul potere di acquisto, sull’intero sistema economico e quindi sui conti pubblici che fanno temere per la tenuta dell’intero sistema Paese. I consumi energetici delle produzioni agricole e alimentari in Italia si attestano ad un totale di 13,3 milioni di tonnellate di petrolio equivalenti all’anno pari a oltre l’11% dei consumi energetici industriali totali del nostro Paese. Il comparto alimentare richiede ingenti quantità di energia per i processi di produzione, trasformazione, conservazione, funzionamento delle macchine e climatizzazione degli ambienti produttivi e di lavoro e per questo, visti i numeri dei consumi, è facile comprendere quanto incidano i rincari sulla gestione delle aziende e quindi sui costi finali dei prodotti, che se non scaricati sui prezzi portano inevitabilmente a pesanti perdite economico finanziarie. Non possiamo quindi aspettare l’insediamento di un nuovo governo, se i costi dell’energia proseguono su questi valori e trend e quindi se non troviamo un intervento diretto e sostanzioso di riduzione dei costi da parte delle istituzioni nazionali o europee, il rischio è di compromettere uno dei settori più importanti e strategici per il nostro Paese, per il made in Italy, la nostra filiera agroalimentare, che tutto il mondo ci invidia!».