Macerata

Giovani e aggressività, la psicoterapeuta Cannizzaro: «Violenza più diffusi tra chi ha disturbi di personalità e condotta»

Diversi i casi di aggressione ai genitori che si sono verificati negli ultimi mesi un po' in tutta Italia. Ne parliamo con l'esperta

Si moltiplicano sulle cronache i casi di aggressione messi in atto da giovani nei confronti dei genitori. Tra gli ultimi la strage di Paderno Dugnano, nel milanese, dove un 17enne ha confessato di aver ucciso la propria famiglia nella notte tra il 31 agosto e il 1° settembre. Nelle Marche, a Gagliole, nel maceratese, un 23enne avrebbe invece aggredito i genitori, accoltellando il padre ricoverato in prognosi riservata all’Ospedale Regionale di Torrette. Ma casi di aggressioni ai familiari si sono verificati recentemente anche in diverse altre regioni italiane, un fenomeno che sembra in crescita.

Perché questa escalation di aggressività fra i giovani? Lo abbiamo chiesto a Giorgia Cannizzaro psicoterapeuta e docente di Psicologia Generale alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell Università Politecnica delle Marche, esperta in psicologia clinica, dell’area critica, dell’emergenza e della maxi emergenza. «Il periodo dell’adolescenza è un momento evolutivo nel quale i ragazzi cercano fisiologicamente lo scontro con i genitori per potersi emancipare: il bambino si sgancia dall’unione con il genitore, un momento molto doloroso anche per lui, nel quale la ribellione o comportamenti di tipo oppositivo sono fisiologici per emanciparsi ed entrare nel mondo dell’adulto».

La psicologa spiega che si tratta di «un comportamento primitivo che cerca di allontanare l’altro con forza per raggiungere la propria emancipazione. In psicologia si dice che il figlio durante l’adolescenza uccide simbolicamente il genitore, il problema è che per una serie di fattori a volte questa uccisione da simbolica diventa reale, c’è un passaggio all’atto». Molteplici i fattori scatenanti dell’aggressività nei giovani. Dal punto di vista psicologico il comportamento violento può affondare le proprie radici «in dinamiche familiari disfunzionali come una comunicazione basa sul metodo punitivo come strumento ‘educativo’ – spiega – sulla repressione delle emozioni e degli stati d’animo, sulla violenza utilizzata come strumento. I bambini imparano quello che vedono dai genitori, inoltre, adolescenti aggressivi sono anche il risultato di famiglie molto oppressive e che non lasciano spazio alla crescita e alla libertà di sviluppare esperienze utili a diventare grandi e farsi spazio nel mondo».

In altri casi alla base ci sono disturbi psichiatrici o disfunzioni psicologiche nei ragazzi, «difficilmente un giovane arriva ad aggredire fisicamente o ad uccidere un genitore se non ha un grave psicopatologia come un disturbo della personalità». Tra i fattori scatenanti «storie di abusi in famiglia, impulsività marcata, difficoltà a regolare le emozioni. Se un adolescente ha un disagio psicologico e non viene adeguatamente attenzionato può diventare violento e passare all’acting out (passaggio all’atto, ndr)».

Per la psicologa la società attuale «ha poco tempo per la crescita dei ragazzi, i genitori a volte sono poco presenti, oppure hanno loro stessi delle problematiche, come psicopatologie, disturbi d’ansia, depressioni, che se non curati, ricadono sui ragazzi». Quali i campanelli d’allarme da non sottovalutare? «Le introversioni dei figli, i comportamenti anomali, le difficoltà di socializzazione, i problemi a scuola, l’uso di droga». Dal punto di vista sociale l’aggressività può essere «il risultato di una confusione tra realtà e virtuale – spiega – spesso ragazzi non riescono a cogliere le conseguenze delle loro azioni perché immersi in mondo virtuale dove se scrivo una cosa la posso cancellare poco dopo, mentre se muoio in un gioco posso rinascere anche diverse volte. Insomma, a volte si fa fatica a capire che un accoltellamento o un’aggressione reale può uccidere realmente». In conclusione «i comportamenti violenti sui genitori sono sicuramente più diffusi tra i soggetti con disturbi di personalità e condotta rispetto a chi ha uno sviluppo normale».

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