ANCONA – Sulla violenza di genere «l’Italia sconta diversi ritardi e il potere patriarcale e maschilista non è stato ancora debellato. Le complesse tappe dell’emancipazione femminile hanno dato un contributo essenziale al tentativo di cambiare tale situazione». A definire una cornice evolutiva del fenomeno, nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, è il professor Marco Severini, storico dell’Università di Macerata, autore del saggio ‘Le fratture della memoria. Storia delle donne in Italia dal 1848 ai giorni nostri’, nel quale racconta le battaglie sociali delle donne negli ultimi 175 anni di storia.
Un fenomeno secolare, trasversale per classe sociale e religione e senza confini geografici, quello della violenza contro le donne, che affonda le proprie radici in un rapporto dispari tra uomini e donne, in famiglia e nella società, e in rapporti di potere disuguali.
Le basi del fenomeno
«La violenza tra le italiane è sempre stata presente: in passato non se ne parlava – dice -, rimaneva all’interno delle mura domestiche tanto che fino al 22 febbraio 1956 è rimasto in vigore lo ius corrigendi del marito nei confronti della moglie, secondo cui il coniuge maschio, in quanto pater familias, aveva la legittimità del potere correttivo e disciplinare, compresa una “certa” quantità di coazione fisica. Oppure che dire del fatto che fino alla legge del 15 febbraio 1996, n. 66, lo stupro era un crimine contro la morale pubblica e non contro la persona?».
Secondo lo storico «la violenza, e in particolare il femminicidio, si combatte solo con una radicale opera di educazione e di trasformazione civile che deve partire al più presto. Forse, proprio per questo, si è voluto conferire all’assassinio di Giulia Cecchettin un significato particolare, quasi di rottura. Come a dire, c’è stato un prima, ma il dopo sarà diverso». Il tema sarà anche al centro di un appuntamento che si terrà oggi – 25 novembre – alle 17 nella Sala Consiliare di Filottrano dove lo storico dialogherà con la direttrice scientifica dell’Associazione di Storia Contemporanea, Lidia Pupilli.
Stereotipi di genere
Nel mondo del lavoro la disparità nella relazione tra uomo e donna si manifesta con gli stereotipi di genere, ancora diffusi: le donne spesso fanno più fatica dei colleghi maschi a raggiungere posizioni al vertice, nel ricevere la stessa retribuzione e nelle prospettive di carriera, nonostante le competenze e le capacità. Non solo, questi stereotipi influenzano anche le scelte di carriera e, ad esempio, settori come l’ingegneria sono ancora oggi percepiti come maggiormente adatti agli uomini. Insomma, una parità ancora da raggiungere.
«Sebbene le donne investano di più nell’istruzione e formazione rispetto agli uomini, nel mercato del lavoro e nella conciliazione dei tempi di vita si amplificano invece gli squilibri di genere a sfavore delle donne – spiega Eleonora Fontana, segretaria regionale Cgil Marche-: non solo è più basso il tasso di occupazione ed è più elevato il tasso di mancata partecipazione al mercato del lavoro, ma anche gli aspetti qualitativi della condizione occupazionale denotano una situazione peggiore per le lavoratrici. In tal senso, infatti, tra le occupate è più alta l’incidenza delle lavoratrici in part-time involontario, delle occupate sovraistruite e di quante percepiscono una precarietà lavorativa, ritenendo probabile perdere il lavoro nei successivi sei mesi e al contempo improbabile trovarne un altro simile».
Per quanto riguarda le dinamiche retributive «le donne dirigenti percepiscono il 26,5% in meno degli uomini, i quadri il 16,8% in meno. Il gap maggiore si evidenzia tra le impiegate che hanno salari più bassi del 39,3% in meno e tra le operaie 37,2% in meno. Persiste infatti, ancora, un problema di resistenza culturale perché nel nostro Paese abbiamo ancora un numero di donne che si laureano in materie scientifiche inferiore ai colleghi uomini – prosegue Fontana -, lavoratrici che sono retribuite di meno, che fanno più fatica a trovare un lavoro, e quando lo trovano spesso è precario, senza diritti e tutele. Per il sindacato è fondamentale migliorare la condizione di vita e di lavoro delle donne perché solo così sarà possibile un miglioramento complessivo di tutto il sistema paese».
Il lavoro, conclude, è «il fattore principale di emancipazione, di libertà e di valorizzazione per le donne, e riteniamo strategico diffondere nei luoghi di lavoro e nelle nostre comunità una cultura delle pari opportunità, attraverso la contrattazione, la lotta alla violenza e alle discriminazioni».