Macerata

2025, Mancini di UniMc: «Politica ed economia siano costruite sulla base della cultura del rispetto»

La riflessione del direttore del Dipartimento di Studi Umanistici e docente di Filosofia teoretica dell’Università di Macerata sulla parola dell'anno scelta da Treccani: rispetto

“Rispetto” è la parola dell’anno per la Treccani. È stata scelta «per la sua estrema attualità e rilevanza sociale». Il Dizionario dell’italiano Treccani definisce il rispetto come un «sentimento e atteggiamento di stima, attenzione, riguardo verso una persona, un’istituzione, una cultura, che si può esprimere con azioni o parole».

In una società nella quale i social media hanno un ruolo rilevante nella nostra vita, come si può riportare il rispetto al centro delle interazioni umane, in un luogo dove l’anonimato favorisce il proliferare degli haters (odiatori)? Lo abbiamo chiesto al professor Roberto Mancini, direttore del Dipartimento di Studi Umanistici e docente di Filosofia teoretica dell’Università di Macerata.

Roberto Mancini di UniMc
Roberto Mancini di UniMc

«Nel porre la questione del rispetto, riferita alla situazione attuale della società, c’è una condizione di onestà del discorso che anzitutto va assunta. Sento spesso persone che si lamentano degli altri, ad esempio dei giovani, delle istituzioni, della mentalità corrente, dell’andamento del mondo, e che al tempo stesso non mettono mai in discussione se stesse. Non vorrei parlare del rispetto seguendo il pregiudizio per cui sono gli altri a mancarne. La prima condizione per una riflessione seria è che ciascuno si chieda se personalmente sta avendo rispetto verso gli altri, verso sé stesso, verso i valori ai quali è dovuto. La parola “rispetto” è come uno specchio che, in primo luogo, ci fa vedere se noi siamo corretti, a prescindere da come si comportano gli altri.

Detto questo, il sentimento del rispetto – che Kant definiva il sentimento morale per eccellenza – si sviluppa nel contesto di relazioni fatte di ascolto, di dialogo, di accoglienza, di cura per il valore che ciascuno incarna. Quando viene meno questo contesto interpersonale, diventa facile perdere il senso del riguardo che si deve sia a quei valori viventi e incarnati che sono le persone e le relazioni (ma anche, con diverse gradazioni, gli animali e le piante), sia ai valori ideali come la verità, la giustizia, la libertà, la pace e così via».

Secondo Mancini «la situazione dei “social” risulta compromessa, nello spazio che in essi dovrebbe avere il rispetto, non solo per l’anonimato e le caratteristiche generali di questi spazi della rete, ma già per la povertà di retroterra educativo e di relazioni interpersonali concrete che contraddistingue la situazione sociale attuale. Nell’infosfera non ci sono relazioni, solo interazioni più o meno strumentali, cosicché è facile insultare, denigrare, odiare e contagiare atteggiamenti irrispettosi per la mancanza di un vero coinvolgimento nel contatto reale tra persone con un volto, una storia, una presenza fisica effettiva. Quindi, per promuovere la capacità di rispetto, restano determinanti i luoghi di sviluppo delle persone, di socializzazione e di apprendimento: la famiglia, la scuola, le relazioni amicali e di vicinato. La regolamentazione dell’uso della rete e dei social viene di conseguenza».

Come favorire la cultura del rispetto nei giovani, in un mondo segnato da guerre e conflitti che spesso nascono proprio dal mancato riconoscimento dei diritti dell’altro e dal mancato dialogo fra culture diverse? «Anche qui serve una precisazione preliminare, senza dare per scontato che ad aver bisogno di apprendere la cultura del rispetto siano soprattutto i giovani. Per molti versi essi, nel bene e nel male, sono lo specchio di quello che ricevono dal mondo adulto. Quindi, se si vuole che le nuove generazioni siano disponibili a comportarsi con rispetto, occorre che ci siano adulti che lo fanno per primi. Va ricordato che bambine, bambini e giovani oggi sono tra le categorie più sacrificate in una società in cui l’economia di mercato li respinge, li precarizza o li sfrutta e la geopolitica li manda in guerra e li trasforma molto precocemente in vittime. Oggi nel mondo 462 milioni di bambine e bambini vivono in zone di guerra. Spetta agli adulti e alle istituzioni di spezzare questa spirale violenta per promuovere invece forme di vita sociale in cui pace, solidarietà, giustizia e, dunque, rispetto siano normalmente vissuti».

Nei percorsi educativi, spiega, «la famiglia mantiene evidentemente un ruolo primario, ma occorre che sia aiutata da un contesto sociale e culturale propizio al riconoscimento della dignità delle persone, altrimenti anche la famiglia viene travolta e perde capacità educativa. Un ruolo fondamentale spetta anche alla scuola, ma purtroppo in questi anni proprio la scuola è stata aggredita da riforme governative totalmente sbagliate, da continui tagli di risorse economiche, dalla deformazione che ha portato alla scuola-azienda, dalla burocratizzazione, dal culto dell’informatica e dell’innovazione digitale senza avere cura per la qualità educativa delle relazioni e della comunità scolastica. Per favorire la cultura del rispetto serve un’educazione etica, oltre che civile, che richiede l’azione di educatori autentici (non insegnanti-facilitatori e addestratori) e la promozione della passione per la conoscenza, il pensiero critico, la cultura, la democrazia. In particolare, occorre una grande cura per propiziare un buon incontro tra le differenze di genere, di generazione, di cultura e di condizione sociale, mentre oggi là dove si dà qualcuna di queste differenze essa diventa pretesto per stabilire il potere di qualcuno su qualcun altro: degli uomini sulle donne, degli adulti su chi è piccolo o giovane, dei nativi sugli stranieri, di chi ha su chi non ha. La cultura del rispetto implica la cultura della giustizia che tratta chiunque secondo la sua dignità di persona».

A scuola e nello sport è fondamentale alimentare la cultura del rispetto, ma è soprattutto la famiglia il primo punto di incontro con questo valore fin dalla più tenera età. Oggi, tuttavia, la trasmissione del rispetto sembra un po’ in crisi… «Nel caso specifico della comunità familiare registriamo gli effetti deleteri di una società che da molto tempo è stata immaginata e organizzata come un grande mercato, dove tutti competono e dove tutto si compra o si vende. Le persone sono trattate come “risorse umane” o come esuberi e scarti, mai davvero come persone. In questo clima culturale ogni tipo di comunità viene aggredito e la famiglia fatica a restare un luogo di comunione fondato sull’amore e sulla condivisione. L’alleanza tra le generazioni è stata spezzata. Dunque bisogna capire anzitutto che la società non è un mercato, ma è una comunità radicata nella più grande comunità naturale degli esseri viventi.

D’altra parte, la famiglia può fiorire e educare nel rispetto tutti le persone che la compongono se non si riduce a un’istituzione sacrificale, a un luogo di infelicità, a un aggregato puramente strumentale. Pertanto è importante la testimonianza positiva di persone che scelgono di diventare famiglia per condividere il bene che si vogliono, per coltivare insieme felicità e affetto. In un clima gioioso, malgrado le varie difficoltà che sempre ci sono, si può crescere interiorizzando il senso del rispetto come un atteggiamento naturale in tutte le relazioni. Purtroppo quando si parla della famiglia lo si fa in modo retorico, ideologico, moralistico e propagandistico. Invece istituzioni (dal governo agli enti locali, dalle scuole alle università) e associazioni del terzo settore dovrebbero prendersi cura della qualità umana delle persone e della qualità delle relazioni interpersonali, aiutando le famiglie ad affrontare il loro cammino avendo intorno un contesto etico, propizio alla cultura del rispetto e della solidarietà. Tutto ciò richiede sia un mutamento culturale, che restituisca importanza alle persone e alle comunità come luoghi di riconoscimento e di ospitalità, sia un grande mutamento dell’economia, che da macchina per produrre ricchezza fine a se stessa diventi un’istituzione finalizzata a rispondere ai bisogni umani, cosa che consentirebbe ai giovani di avere le condizioni per costruire nuove famiglie».

La parola “rispetto”, conclude il professor Mancini, se presa sul serio e svolta in tutte le sue implicazioni, «è un’idea-guida per aprire una via oltre la trappola attuale della globalizzazione della violenza e dell’indifferenza. Il rispetto è la prima chiave per riaprire il futuro per tutte e per tutti, è il primo ingrediente della pace di cui il mondo intero ha estremo bisogno. Ognuno deve cominciare a viverlo per primo e in prima persona senza cercare l’alibi per cui a dare rispetto dovrebbero essere anzitutto gli altri. È con questa onestà che, d’altra parte, bisogna pretendere che politica ed economia siano costruite sulla base della cultura del rispetto e solo così, un giorno, diverranno rispettabili e utili all’umanità, cosa che per ora non è data».  

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