Stretto tra la morsa di un cambiamento di abitudini da parte dei consumatori, di una generale riduzione del potere di acquisto delle famiglie e della concorrenza delle piattaforme online, il sistema moda sta attraversando una fase di crisi che interessa il mondo dell’abbigliamento, degli accessori e delle calzature. Ne parliamo con Giacomo Bramucci, presidente di Confcommercio Marche, componente della giunta di Federmoda Italia e vicepresidente dell’Azienda Speciale della Moda di Camera di Commercio delle Marche.
Si tratta di una crisi congiunturale o strutturale quella del sistema moda nelle Marche?
«Definirla congiunturale è limitativo: da circa una decina di anni è in atto un lento declino che si è accentuato nell’ultimo periodo. Sono cambiate molte variabili di riferimento nel settore. Dopo la crisi dei consumi, c’è stata la pandemia di Covid-19, oggi invece, ad influenzare negativamente i consumi sono il basso livello dei salari e le ridotte aspettative che le persone hanno verso il futuro. Per questo gli operatori della moda devono rivedere tutta una serie di fattori interni al loro modello di business.
Oggi le aziende devono organizzarsi per avere una struttura ed un business molto piu solidi ed efficienti del passato ed attenti al cliente».
Quali sono le variabili di cui parla?
«La concorrenza, prima di tutto. Mentre in passato per retail e moda era importante avere una buona location e un buon prodotto, oggi queste variabili sono state scardinate: con gli smartphone la moda è a portata di click e arriva a casa. Per non rischiare di distruggere la rete dei negozi bisogna rendere il rapporto con il cliente più profondo ed esperienziale».
Insomma, acquistare sulle piattaforme penalizza il modello dei piccoli negozi, ‘aggrediti’ dalla concorrenza delle vendite online…
«La parola chiave è consapevolezza. Il web ci ‘aggredisce’ ma al tempo stesso è anche una opportunità, molti negozi hanno uno spazio e-commerce, un’ interessante vetrina in più con cui promuovere i propri prodotti. Il cliente acquista indipendentemente dal canale e molti comprano online nei negozi fisici dove si sono già recati. Una nostra indagine ha evidenziato che negli ultimi cinque anni la distanza media percorsa dai pacchi spediti dai negozi di moda si è notevolmente ridotta, questo dimostra che il fenomeno dell’acquisto online di prossimità sta crescendo».
Come commercianti quali sono le vostre richieste per arrivare ad una maggiore collaborazione tra aziende produttrici e sistema del commercio? E quali le alleanze strategiche per aiutare il settore ad uscire dalla crisi?
«La filiera è la chiave per mantenere il sistema in equilibrio. Serve dialogo tra piccoli negozi e produttori: le aziende ad esempio possono assorbire le piccole eccedenze di merce che pesano sui negozi, limitando la loro possibilità di acquisto, impattando, di conseguenza, anche sulle imprese che non cedono valorizzati i nuovi prodotti. Se si ascoltano le voci dei negozianti, che si confrontano con il cliente finale, il prodotto è più facile da vendere».
Difficile parlare di aiuti pubblici di questi tempi, tuttavia lo Stato come può venire incontro ai commercianti del settore delle moda per aiutarli ad uscire dalla crisi?
«Il nostro è un settore che non ha mai chiesto aiuti diretti, ma per tenere viva la fiamma delle piccole realtà commerciali, che tengono in vita i nostri borghi, servono aiuti, anche attraverso interventi semplici, come detassare i canoni di affitto, agevolare per chi si insedia nell’entroterra. Interessante anche il credito d’imposta per le scorte, sulle quali i negozi non hanno un guadagno concreto, così come la detassazione del magazzino. Sono piccole manovre che possono andare incontro alle realtà in difficoltà e che possono evitare lo spopolamento collegato alla chiusura delle attività nei centri storici e nei borghi».