Macerata

Civitanova, la città ricorda le vittime delle Foibe. L’esule: «Gli italiani visti come fascisti, ci volevano eliminare»

«Davamo per scontato che le guerre fossero ormai solo un lontano ricordo. Così purtroppo non è», le parole del sindaco Fabrizio Ciarapica

Nella foto: il Sindaco Ciarapica, il vice Morresi, l'assessore Capponi. i consiglieri Fontana, Pantella, Pollastrelli e Polverini.

CIVITANOVA MARCHE – «Davamo per scontato che le guerre fossero ormai solo un lontano ricordo. Così purtroppo non è. Le immagini drammatiche che provengono dai confini della nostra Europa possano aiutarci a comprendere che le guerre sono un male assoluto che ci consegnano morte, distruzione e dolore’». Con un chiaro riferimento al conflitto ucraino, il Sindaco di Civitanova Fabrizio Ciarapica è intervenuto in occasione delle celebrazioni del giorno del Ricordo in memoria delle Vittime delle foibe, dell’Esodo Istriano, Fiumano, Giuliano e Dalmata e delle vicende del confine orientale avvenute nel secondo dopoguerra.

Le celebrazioni si sono tenute stamani, aperte con la deposizione delle corone d’alloro nel parco Norma Cossetto e in piazza Silvano Abba da parte del sindaco Ciarapica, del vice Morresi, del presidente del Consiglio Fausto Troiani e di diversi consiglieri di maggioranza e opposizione.

Le autorità civili e militari presenti alle celebrazioni

Il racconto dell’esule

La Giornata commemorativa è proseguita poi, alle 9.30, nel Consiglio Comunale aperto organizzato all’Auditorium dei Licei Da Vinci alla presenza di circa trecento studenti e con la testimonianza del civitanovese Lucio Sotte, figlio di esuli istriani. Toccante il suo racconto: «I problemi iniziarono dopo il 1945, quando il regime di Tito iniziò la sua vendetta – ha detto Sotte – fu un genocidio? Probabilmente sì. Fu pulizia etnica? Sicuramente sì. Il clima di violenza aveva l’obiettivo di far sì che gli italiani, che erano tantissimi, se ne andassero e che quelle terre diventassero in tutto e per tutto jugoslave. A venire uccisi furono in primis i rappresentanti del Partito Fascista, poi quelli delle forze dell’ordine; quindi, italiani che avevano la sola colpa di essere tali e alla fine anche oppositori vari, qualsiasi persona venisse considerata genericamente un nemico. Gli italiani erano visti come tutti fascisti e padroni, per cui andavano eliminati. A Pola su 31 mila abitanti, in 28.500 se ne andarono. Mia madre – ha proseguito il dottor Sotte – era nelle liste di coloro che dovevano finire nelle foibe. Non ci finì solo perché aveva un amico partigiano che ogni volta metteva il suo nome in fondo alla lista, rinviando continuamente la sua esecuzione. Non ce la fece invece l’allora fidanzato di sua sorella: era slavo, ma era benestante e non si era iscritto ai partigiani per cui era malvisto e fu ucciso anche lui. Mio padre e mia madre furono tra gli ultimi a lasciare Pola: lo fecero solo 15 giorni dopo la nascita di mio fratello maggiore, il 5 settembre 1947, 10 giorni prima dell’entrata in vigore degli accordi con i quali la città diventava ufficialmente jugoslava. La stragrande maggioranza dei profughi finirono nei campi profughi, realtà di miseria e povertà, ma i miei da questo punto di vista furono fortunati: essendo insegnanti trovarono lavoro prima in Piemonte e poi, dal 1950, a Civitanova. Qui sono nato io nel 1951 e ricordo ancora quando, nel 1956, una volta calmatesi le acque, tornammo in Istria. Ci tornammo – ha proseguito – perché la mia famiglia era divisa a metà: i fratelli di mio padre erano tutti venuti in Italia, ma i parenti di mia madre erano rimasti là».

Per l’occasione, partecipi anche il Commissario Capo di Polizia di Civitanova, Fabio Mazza, il Comandante del Norm, Cristian Mucci, il Comandante della Guardia di Finanza, Tiziano Padua, Bartolomeo Filannino, Comandante della Stazione dei Carabinieri di Civitanova, il Luogotenente della Capitaneria di Porto, Tonino Marconi, il capo della Protezione Civile, Aurelio Del Medico e alcuni rappresentanti dell’Associazione Nazionale dei Marinai d’Italia.