Macerata

Delitto di Montecassiano, gli amici di Rosina Carsetti in aula: «Lo diceva spesso: “Tanto alla fine mi ammazzano”»

Nel processo in Corte d'Assise a carico dei familiari di Rosina Carsetti sono stati sentiti quattro testimoni tra amici e vicini di casa della 78enne uccisa la vigilia di Natale del 2020

Il tribunale di Macerata

MONTECASSIANO – Le confidenze di Rosina, le paure, le difficoltà, l’isolamento in cui era stata costretta e le discussioni in casa. Lo hanno raccontato oggi in aula quattro tra amici e vicini di casa di Rosina Carsetti sentiti come testimoni nel processo in Corte d’Assise a carico dei familiari della 78enne (la figlia Arianna Orazi, il nipote Enea Simonetti e il marito Enrico Orazi) accusati dell’omicidio dell’anziana avvenuto nel tardo pomeriggio del 24 dicembre del 2020.  

La prima ad essere sentita è stata la vicina di casa, la preside Silvana Bacelli, che ha raccontato come la vita della 78enne era cambiata drasticamente dagli inizi del 2020 quando nella villetta di via Pertini erano arrivati la figlia Arianna e il nipote Enea. «All’inizio – ha riferito – era contenta. A Natale 2019 mi disse “C’è una novità tra un po’ arrivano mia figlia e mio nipote”. Lo disse con gioia, poi però ha mostrato delusione e incredulità rispetto alle aspettative che aveva su quella convivenza. Credeva di non avere più un ruolo significativo in alcuna delle decisioni di famiglia, le decisioni per i lavori in giardino, sulle piante tagliate, sugli acquisti erano prese a sua insaputa. Avevano stabilito che lei stesse nel livello centrale della villetta, gli altri sotto e in quello superiore, questa suddivisione anche fisica ho avuto l’impressione che l’avesse subita».
Bacelli ha riferito di un bisticcio avvenuto un paio di mesi prima della morte dell’anziana: «Rosi stava parlando male della figlia al telefono, lei se n’era accorta e ci fu una discussione. Le sfuggì uno schiaffo al volto della figlia, ci fu uno strattonamento a seguito del quale cadde per le scale. L’ho vista dolorante, aveva dovuto mettere una pancera. Dopo l’estate disse che non aveva più la sua macchina e quindi la libertà di muoversi, perché la figlia e il marito avevano determinato di non fargliela più usare. Non disponeva neanche di denaro, se non di 10 euro al giorno. Rosi – ha proseguito la preside – era una donna sveglia, autonoma, prima non si era mai lamentata di non avere i soldi, poi invece aveva disponibilità contata e scarsa. Le consigliai di coinvolgere il figlio, magari avrebbe potuto adoperarsi per spianare queste criticità, e di segnalare ai carabinieri l’episodio dello strattonamento, il giorno dopo mi disse di aver fatto entrambe le cose».

Sui rapporti con Arianna Orazi, Bacelli ha spiegato che «erano corretti ma contenuti, era andata via per tanti anni, quando è tornata ci sono state conversazioni in modo tranquillo e rispettoso. Un giorno Arianna mi disse “Non riconosco più mamma”, io le risposi che anche per lei era difficile riconoscere la figlia, “perché non provate ad avere un rapporto più disteso?”, le proposi. Ricordo la sua amarezza come per dire: “Tu non puoi capire, non sai tante cose”. Anche la mamma aveva perso la motivazione, l’interesse ad avere un rapporto normale con la figlia, era oramai talmente delusa e provata che non riusciva neppure ad avere fiducia a riprovare».

In aula è arrivata anche Talìa Carassai, 87 anni di Sforzacosta, amica storica di Rosi: «Mi diceva che le facevano i dispetti, le toglievano l’acqua calda quando faceva la doccia, le spegnevano il riscaldamento, forse più il nipote. Non lo so perché la figlia e il nipote si sono trasferiti da loro, forse per risparmiare sulle spese. In principio Rosi era contenta, poi litigavano, non andavano più d’accordo. Le hanno rovinato il giardino a cui lei teneva tanto, le hanno devastato la casa e Rosi non lo accettava. Mi telefonava tutti i giorni, più volte, mi diceva “Tanto alla fine mi ammazzano”, si sentiva a disagio. Mi raccontò del litigio con la figlia, si erano prese a schiaffi e la figlia l’aveva fatta cadere, Rosi era spaventata e il nipote le aveva fatto delle mosse per minacciarla che le avrebbe fatto del male. Quella sera è andata a dormire da un’amica a Macerata. Rosi aveva paura del nipote, la insultava, le diceva che era brutta, ma glielo diceva con cattiveria. Io le avevo detto di venire a casa mia ma lei voleva restare lì, diceva che quella era casa sua. Una volta chiamò i carabinieri dopo un litigio col nipote, quando andarono via Arianna le disse “Se succede qualcosa a mio figlio a te ti ammazzo”. Rosi ha parlato col figlio della situazione che c’era in casa ma il figlio non gli ha dato peso».

«Quando ho saputo che Rosi era morta ho sentito il dovere morale di essere la voce di Rosi», a dirlo è stata Anna Maria Rocchetti, vive a Montecassiano a circa 500 metri dalla villetta degli Orazi. Si erano conosciute sei o sette mesi prima della morte di Rosina. «Ci siamo conosciute a fare colazione al bar Paradiso, da un semplice buongiorno abbiamo iniziato a parlare. Dopo poco ha iniziato a raccontarmi la situazione di disagio che viveva a casa. Raccontava che da quando era arrivata la figlia col nipote era stata messa in disparte, subiva una sorte di violenza morale, psicologica. Le era stato tolto l’uso del macchina, le davano 10 euro al giorno e non sempre, era amareggiata, all’inizio non conoscendo gli altri suoi familiari, mi sembrava surreale, tante volte veniva a casa mia e anche ai miei figli raccontava le stesse cose. «Mi raccontava il nipote le faceva i dispettucci: faceva la doccia con l’acqua gelata perché il nipote le staccava l’acqua calda, o le spegneva il riscaldamento, diceva che aveva freddo così le ho regalato una stufetta. Un giorno mi aveva detto che il telefono era rotto e io le comprai un cellulare, ma dopo la chiamata ai carabinieri glielo hanno tolto. Rosi – ha continuato Rocchetti – non si faceva vedere timorosa, io le consigliavo di stare zitta a casa. Il sabato e la domenica la passavo a prendere e andavamo a fare colazione. Lei non mi ha mai chiesto soldi ma lo lasciava capire e ogni tanto le davo 50 o 100 euro, una volta mi disse che Enrico lo scoprì e non le diede i 10 euro per un po’. Aveva il sospetto che avesse il telefono sotto controllo. A volte mi diceva “mi sembra di essere una mendicante, un pezzente”, così una volta mi ha regalato un foulard, una volta un braccialetto di bigiotteria e un montoncino. Lei ci teneva a questa cosa, quelle due o tre cose che mi ha dato le ho prese. Una volta voleva darmi per forza la pelliccia di visone, me l’ha fatta anche misurare, ma io sono animalista gli animali morti addosso non li metto, “non la voglio” le dissi, l’ha rimessa nella custodia ed è rimasta lì. Lei me la voleva dare ma io assolutamente non l’ho presa». È stata Rocchetti ad accompagnare Rosina al centro antiviolenza: «Voleva parlare con un avvocato ma non aveva i soldi, così l’ho accompagnata».

«La figlia era una iena, Enrico invece era assente – ha raccontato Euro Carancini –. Rosina mi ha raccontato che veniva maltrattata, un giorno mi raccontò che la figlia le diede uno spintone, lei cadde a faccia avanti e il nipote le mise il ginocchio sopra. Sono rimasto sconvolto. Una delle ultime cose che mi ha detto è stata “Caro Euro se mi succede qualcosa non cercate fuori casa”. È successo due o tre settimane prima del tragico fatto. Rosina era sempre attenta a tutto, non parlava a vanvera».