MACERATA – I rapporti familiari degli Orazi, i racconti fatti dagli imputati ai parenti che li hanno ospitati in casa subito dopo il delitto e poi le testimonianze di due ex compagne di cella di Arianna e di padre e figlio di Cingoli che due settimane dopo l’omicidio di Rosina Carsetti si erano trovati davanti casa Enea e la mamma per una richiesta precisa.
È l’estrema sintesi della sesta udienza (durata circa quattro ore) del processo celebrato questa mattina in corte d’Assise a Macerata a carico del marito, della figlia e del nipote della 78enne Rosina Carsetti (Enrico Orazi, Arianna ed Enea Simonetti) tutti accusati del delitto dell’anziana avvenuto il 24 dicembre del 2020. Monica Piombetti, (moglie del figlio di Rosina, Enea Orazi) per via del rapporto di parentela con Arianna Orazi avrebbe potuto non rispondere alle domande (solo relativamente alla posizione della cognata), ma lei ha deciso di non avvalersi di quella facoltà «non ho niente da nascondere, rispondo a tutto», ha esordito. Ha quindi risposto alle domande del pm Vincenzo Carusi, a quelle a precisazione del presidente della corte, il giudice Andrea Belli, e alle domande dei difensori dei tre imputati, gli avvocati Valentina Romagnoli, Olindo Dionisi e Barbara Vecchioli.
«Enrico? Della morte della moglie non ha mai parlato, all’inizio avevo chiesto qualcosa poi ho smesso, non volevo sapere più niente. O piangeva o non parlava, muto. Invece Arianna e il figlio hanno continuato a sostenere la loro versione (rapina). Dubbi? Non ne ho mai avuti altrimenti non li avrei ospitati a casa», ha riferito Piombetti che riguardo ai rapporti tra i suoceri, la cognata e il nipote ha detto essere «abbastanza tranquilli, Rosina e Arianna tendenzialmente erano andate sempre d’accordo», ma i suoi ricordi erano datati nel tempo. «Erano anni che non andavamo più a casa loro. Nel 2012 mio marito ha avuto un’opportunità di lavoro ed è andato via dall’azienda di famiglia – ha raccontato Piombetti –. Rosi non l’ha presa granché bene, lo ha riempito di insulti, gli ha detto che era un ingrato, dopo tutti i sacrifici che aveva fatto il padre per lui. “Se te ne vai per me sei morto”, gli aveva detto. Un giorno passai da lei per cercare di ricucire lo strappo ma Rosi mi rispose “Quando dico una cosa è quella, per me è finita”, e ha tagliato i rapporti con noi, non ci fu verso, andai via piangendo, poi ci siamo sentiti a Natale e alle feste comandate. L’ultimo anno non ci siamo praticamente visti mai». «Di screzi grossi che mi abbiano allarmato non ho saputo – ha aggiunto la donna –, ma ci sentivamo davvero poco. Della chiamata ai carabinieri ce la raccontò Arianna, Rosina non ci disse nulla, ne parlò con mio marito al telefono, disse che Enea aveva perso la pazienza col wi-fi e aveva dato un calcio a una panca. I carabinieri avevano accertato che tutto fosse a posto ed erano andati via. Da lì all’omicidio non ho saputo nulla». E proprio in merito a quello che è successo il 24 dicembre Piombetti ha spiegato di aver chiesto ad Arianna «come mai non ci avessero chiamato subito, ma lei ha detto che prima per lo shock non ci aveva pensato e poi verso le 21 i carabinieri avevano ritirato i telefonini. Io credevo alla versione di Arianna sennò non li avremmo fatti venire a casa, abbiamo vissuto l’inferno». Sui rapporti tra Arianna ed Enea la cognata ha riferito: «Li ho visti sempre molto attaccati, anche prima dell’accaduto, ciò che piaceva ad Arianna piaceva anche ad Enea e ciò che non piaceva ad Arianna era sicuro che non piacesse neppure a Enea, avevano comportamenti simbiotici. Li vedevo sempre d’accordo sulle stesse cose».
In aula sono state sentite anche due ex compagne di cella (in tempi diversi) di Arianna al carcere di Pesaro, entrambe avevano chiesto di essere trasferite. Loredana Cozzolino, napoletana, ha riferito che Arianna le avrebbe detto che era stato il padre Enrico ad uccidere la moglie: «Era il 24 dicembre, il pomeriggio non erano usciti, erano rimasti a casa, lei era giù, il figlio era andato a fare la spesa e il padre stava sopra con la moglie. Quel giorno non avevano neanche mangiato, lei è salita sopra e aveva trovato la madre per terra e lei disse al padre “Ma che hai fatto?” Lui non parlò. Lei disse “Ma è svenuta?” Poi videro che il cuore le batteva, Arianna voleva denunciare il padre e disse che chiamò i carabinieri». Questa confidenza ci sarebbe stata prima che i rapporti tra le due detenute si incrinassero: «Una volta discutemmo per la pulizia del bagno, erano le 5 del mattino e trovai il bagno sporco, lei mi minacciò dicendo “Ti faccio fare la fine di mia mamma”. Mi impressionò. Una volta mi puntò un coltellino di plastica e disse “Se fosse vero ‘sto coltello te lo ficcherei”. Un giorno mi ha stretto le mani alla gola. Lei era giocherellona, ma io mi sono impressionata, mi facevo tanti film in testa, anche perché non sai mai chi è la persona che è in cella con te, chiesi di essere spostata perché temevo per la mia incolumità».
Emanuela Baldassini scrisse due lettere dal carcere, voleva raccontare quello che sapeva: «Arianna l’ho conosciuta ad aprile del 2021. Si era presentata gradevole, simpatica, ho iniziato ad avere qualche dubbio quando ha iniziato a fare i suoi giochini. Aveva tentato di far uscire una lettera dal carcere tramite una detenuta, ma ho segnalato la cosa. Sono rimasta in cella con lei sempre sul chi va là, ai primi di ottobre ho chiesto di essere spostata, era abbastanza pesante stare in cella con lei, la notte non si sapeva se dormiva, non dormiva, faceva le prove dei processi, scriveva. Il figlio non lo conosco ma mi fa pena, per questo ho scritto una lettera alla Procura, sentire una madre che è contenta se il figlio sta in carcere è deplorevole. È gelosa marcia di questo ragazzo. Poi faceva battute sull’omicidio, diceva che l’avrebbe fatto altre 10 volte. È diabolica, a volte diceva che era stata lei, poi rideva e diceva che non era vero, che era stato il padre. Una volta al telefono col figlio sembrava impazzita, iniziò a urlargli che doveva fare quello che diceva lei o lo avrebbe abbandonato lì. Un giorno mi disse che per tutto questo casino se la madre fosse stata qui le avrebbe dato anche un calcio. Ci si divertiva con questa storia, diceva che la verità deve venire fuori con le indagini, se sono bravi a farle». A domanda dell’avvocato Dionisi la donna ha riferito di aver scritto prima che alla Procura, anche un’altra lettera, a un carabiniere di Ancona. In quella lettera scriveva di avere informazioni su Arianna Orazi e chiedeva di andare ai domiciliari.
Prima di loro sono stati sentiti anche padre e figlio di Cingoli, Giuliano e Manuel Bambozzi. L’11 gennaio 2021, un paio di settimane dopo il delitto, verso le 14, Enea e la mamma Arianna da Montecassiano andarono a Cingoli dal giovane per parlargli. «Quando sono sceso – ha ricordato il padre – hanno cambiato discorso. A casa mio figlio mi ha detto che Enea cercava qualcuno che gli trovasse qualcosa da fumare, ho chiamato un’amica avvocatessa che mi ha consigliato di andare in caserma a raccontare tutto». Il figlio, 22enne, dopo numerose sollecitazioni del pm ha confermato quanto dichiarato all’epoca ai carabinieri, ovvero che Enea cercava una canna perché si doveva sottoporre al test del capello e voleva risultare positivo e cercava i contatti di due extracomunitari. A Bambozzi aveva chiesto se uno dei due avesse la patente, «gli ho chiesto il perché e lui mi ha risposto che era meglio per me non sapere quello che stavano macchinando».
La prossima udienza, il 7 luglio, sarà la volta degli imputati: Enea Simonetti si sottoporrà all’esame, anche il nonno Enrico Orazi ha già anticipato di voler rendere l’esame. Resta invece l’incognita di Arianna Orazi. Se dovesse decidere di sottoporsi all’esame o di rendere spontanee dichiarazioni (in quest’ultimo caso non possono esserle poste domande), sarà sentita anche lei il 7 luglio e l’esame del padre slitterebbe al 14 luglio, se dovesse rinunciare, nonno e nipote saranno sentiti alla prossima udienza.