MONTECASSIANO – «Quando sono rientrato in casa mia madre mi ha detto che l’autore materiale dell’omicidio è stato mio nonno». Il 21enne Enea Simonetti chiede di uscire dal carcere e accusa il nonno materno, Enrico Orazi, di aver ucciso la moglie 78enne Rosina Carsetti il pomeriggio della vigilia di Natale. Prima le bugie (la versione del ladro che aveva ucciso la casalinga nella cucina di casa e costata a Enrico Orazi, alla figlia Arianna e al nipote Enea l’accusa di simulazione di reato), poi il silenzio e dopo sette mesi il nipote della vittima decide di raccontare la sua verità. Una verità che però non è bastata a farlo uscire dal carcere di Montacuto.
Dopo la chiusura delle indagini preliminari avvenuta a fine luglio i tre indagati per l’omicidio pluriaggravato di Rosina Carsetti avevano avuto tempo fino al 15 settembre per presentare memorie o chiedere di essere interrogati dal pm. Inizialmente i loro legali, Andrea Netti e Valentina Romagnoli, avevano affermato di voler valutare se sottoporre a interrogatorio il marito della vittima, Enrico Orazi (figura ritenuta sin dall’inizio marginale nel delitto) poi però avevano deciso di non far avvalere né lui né i familiari di questa possibilità. Ma dopo metà settembre qualcosa è cambiato e hanno presentato, solo per Enea, un’istanza di scarcerazione con contestuale interrogatorio. La revoca della misura era stata chiesta sulla base di due elementi che non c’erano al momento dell’applicazione della misura stessa e presenti nelle relazioni finali del Ris e del medico legale Roberto Scendoni: il primo riguardava la circostanza che l’unica impronta trovata sul maglione della vittima era riconducibile al marito Enrico, il secondo, invece, era riferito a un passaggio della relazione di Scendoni in cui il professionista avrebbe scritto che chi aveva schiacciato il torace di Rosina era una persona dal peso di moderata entità, in realtà il medico legale aveva poi precisato che il peso era dal moderato in su.
Così, il 30 settembre scorso, davanti al gip (era presente anche il sostituto procuratore Vincenzo Carusi) Enea ha riferito che al momento del delitto della nonna lui non era in casa (era uscito verso le 17.45), e quando era rientrato aveva trovato la scena creata dalla madre che simulava il passaggio di un ladro. «Mia madre mi ha detto che l’autore materiale dell’omicidio è stato mio nonno», ha raccontato. «Non è stato in grado di fornire ulteriori particolari – ha spiegato ieri (27 ottobre) l’avvocato Romagnoli –, ha vissuto male tutta la vicenda». Al termine dell’interrogatorio il gip ha rigettato l’istanza confermando la misura carceraria. Era stato lo stesso giudice, nelle 47 pagine dell’ordinanza con cui il 10 febbraio scorso aveva disposto la misura della custodia in carcere per Arianna ed Enea, a riportare alcuni passaggi delle conversazioni registrate dagli investigatori il giorno di Natale, all’indomani dell’omicidio, in cui si sentiva Arianna dire al figlio: «Fidati, alla fine danno la colpa a Enrico», e ancora: «Abbiamo sempre detto che l’anello debole era Enrichetto, no?».
Con l’accusa nei confronti del nonno quest’ultimo ha dovuto nominare un nuovo avvocato, da due settimane l’anziano è tutelato dal legale Barbara Vecchioli del foro di Fermo. Intanto, dopo la richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero, il giudice ha fissato l’udienza preliminare per tutti e tre al prossimo 19 novembre. Padre, figlia e nipote sono accusati dell’omicidio pluriaggravato della familiare (premeditato per figlia e nipote), tutti e tre sono accusati anche di simulazione di reato, rapina e maltrattamenti in famiglia. Solo ad Arianna Orazi vengono contestati la violenza privata e l’induzione a non rendere dichiarazioni nei confronti del figlio Enea. Entrambi devono rispondere di estorsione e furto aggravato.