Da Porto Sant’Elpidio alla conquista di Milano e il sogno di un futuro in California. Ha le idee chiare Matteo Brasili, 26 anni, il vincitore italiano del James Dyson Award 2020 con il progetto di tesi “Cloud of Sea” (Nuvola di mare) presentato al termine del corso di studi alla NABA, Nuova Accademia delle Belle Arti di Milano.
La sua invenzione ha lo scopo di ripulire le acque e stimolare tutti al recupero e alla sostenibilità ambientale. Si tratta di uno strumento innovativo e user-friendly, adattabile a qualsiasi tipo di imbarcazione, che incoraggia e facilita i marinai a rimuovere le microplastiche che contaminano le acque del nostro pianeta. Avendo all’interno un filtro rotante, caratterizzato da fori rastremati, durante la navigazione funziona come un setaccio a elica per raccogliere le microplastiche galleggianti sulla superficie del mare. Facilmente svuotabile una volta rientrati in porto, dove funziona come un parabordo, “Cloud of Sea” può rappresentare un elemento fondamentale per dare vita a un circolo virtuoso che parte dal basso, in cui ognuno di noi è chiamato attivamente a fare la sua parte.
Lo abbiamo intervistato al telefono per conoscere meglio questo giovane e brillante marchigiano.
Matteo, quale percorso di studi hai intrapreso nelle Marche?
«Ho frequentato la scuola primaria a Porto Sant’Elpidio, città sulla costa adriatica conosciuta per il distretto calzaturiero, poi mi sono diplomato all’ITIS “Montani” di Fermo come perito elettrotecnico, percorso che ha trasformato in meglio il mio modo di ragionare. Non ero un secchione ma uno studente assolutamente nella media».
Come sei arrivato alla NABA di Milano?
«A Fermo la NABA non era molto conosciuta, ma nel maceratese molti amici me ne hanno parlato bene, così ho fatto il test di ammissione, ho completato la laurea triennale in Design e ho vinto la borsa di studio per il biennio di specializzazione in Product design».
La scienza riuscirà a migliorare la sostenibilità in questo pianeta?
«La tecnologia è alla base della vita che viviamo. Ricordo che la plastica nacque per sopperire l’uso dell’ovorio e va utilizzata per il proprio scopo, non per l’usa e getta. Quindi il problema non è il prodotto ma l’uso che se ne fa. Il mio lavoro deve contribuire a migliorare le situazioni che viviamo e nel progetto “Nuvola di mare” ho indagato per cercare soluzioni partendo dal problema delle microplastiche, progettando un prodotto di facile utilizzo e indipendente da qualsiasi fonte di energia, se non quella del flusso d’acqua che lo attraversa. Questa sua caratteristica lo rende abbastanza dinamico per essere utilizzato in diverse situazioni, dai fiumi ai laghi, o più nello specifico nel mare grazie alle imbarcazioni».
La questione ambientale è veramente importante per i giovani?
«Assolutamente sì. Da oltre dieci anni la questione ambientale sta cambiando l’economia e il paradigma industriale, non è solo una moda, il cambio di passo c’è stato anche per il fatto che è diventata mainstream. Ad esempio i grandi brand come Ikea e Prada stanno cambiando il loro modo di produrre, stanno investendo in questa direzione sostenibile. Ritengo che tutti i progettisti debbano ormai inserire all’interno del loro pensiero e processo di sviluppo di idee il tema ambientale».
Quali sono i tuoi sogni per il futuro?
«Per il breve termine sto sviluppando “Cloud of sea” con la Garbage Group di Ancona. Per il futuro vorrei consolidarmi come Product design qui a Milano. Vincere il James Dyson Award è stato un onore e una grande occasione di visibilità e mi piacerebbe arrivare in California dove c’è il più grande polo dell’innovazione per dare il mio contributo».
Un consiglio ai ragazzi marchigiani che vorrebbero intraprendere il tuo percorso?
«Il consiglio è quello di sfruttare il know-how intrinseco nel nostro Dna di marchigiani, il nostro territorio è caratterizzato da una rete di piccole e medie imprese con una grande tradizione alle spalle e un’incredibile cultura del lavoro che dobbiamo raccontare e saper mostrare al mondo.
Per sviluppare “Nuvola di mare”, ad esempio, ho intervistato i pescatori di tutti i porti, da Ancona a San Benedetto del Tronto, e grazie alle loro storie ho appreso che a cavallo delle due guerre mondiali i rifiuti venivano scaricati a tre miglia dalla costa, altrimenti si rischiava la multa. Questo ha fatto nascere l’intuizione di creare un progetto per raccogliere la plastica invece di abbandonarla per poi portarla in porto dove deve nascere una filiera del recupero. Ecco che con azioni quotidiane possiamo contribuire a migliorare l’ambiente».