CAMERINO – Due nipotine affidate al nonno Franco, scorbutico e anaffettivo, sopravvissuto al grande terremoto del centro Italia. Due ragazze che si troveranno a vivere nelle casette prefabbricate, in pochi metri quadrati, insieme all’anziano familiare che, solo con il tempo, imparerà ad amarle. È una storia di amore, ma anche di rinascita quella girata tra le splendide e martoriate aree di Valfornace, Camerino e Muccia, quella che ha preso corpo nel film Come niente, la commedia familiare diretta dall’esordiente Davide Como, scritta da Giulia Betti, con Franco Oppini e due giovanissime protagoniste Valentina Bivona e Greta Mecarelli.
Il film, distribuito da Minerva Pictures e prodotto da Guasco, sarà lanciato da domani (12 marzo) su Chili, Rakuten Tv, Google Play, Apple Tv, The Film Club, e a seguire su Amazon. Girato a giugno dello scorso anno, non appena si è potuti uscire dal lockdown, con l’intento di dare un segnale di ripartenza forte proprio da un territorio, come quello Maceratese, già martoriato dal sisma del 2016.
Diversi gli attori del territorio che hanno dato corpo e anima al film: Roberta Sarti, Iacopo Cicconofri, Maria Sole Cingolani con il gruppo Etra, l’Accademia delle arti sceniche e visive, Sabrina Conocchioli e tanti bambini come Gabriella e Pietro Lucarini, Alessandro Valeri, Alessio Pascucci, Jacopo e Mattia Migliorelli. Da sottolineare anche la preziosa collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Macerata per la scenografia, firmata da Lodovico Gennaro e altre importanti collaborazioni con professionisti del Maceratese tra cui Monica Habilaj (aiuto regia), Chiara Cingolani (assistente alla regia), Alex Scopini (segretario di edizione) e Alessio Scarlattini (fotografo di scena). Tutta marchigiana anche la colonna sonora del film, a cura di Raffaele Petrucci, che ha visto la partecipazione di molti giovani artisti tra cui, oltre Raffele Petrucci, Bianca Ottaviani, Folkantina, Marco Baldoni e Daz-Jay.
A fare da “papà lavorativo” a tanti giovani attori è stato Franco Oppini nella veste di nonno Franco, «un padre mancato che ha fallito con la figlia e che ora potrebbe riscattarsi con l’arrivo delle nipotine, affidate a lui per i mesi estivi durante la malattia della madre – si legge nelle note di regia -. Ma lui continua a inseguire Berlinguer, il suo falco, si addentra nei boschi, nelle colline che avvolgono il paesino fino a unirsi con i Sibillini, e lo chiama a squarciagola, ma è solo una chimera. Alla fine capirà che il passato gli sta tendendo una mano, se saprà abbracciare quelle ragazzine, amarle, per come sono. E allora quelle relazioni fragili potranno ricomporsi, e quel paesino distopico si concilierà con sé stesso».
A fare da sfondo, oltre ai Sibillini, ci sono quei moduli prefabbricati che, negli ultimi quattro anni, hanno popolato le aree dell’entroterra. «Le Sae non vengono mostrate come una cartolina ma, sempre sullo sfondo, intervengono silenziose ma imponenti – spiega il regista, raccontando perché ha scelto i luoghi del sisma per ambientare il suo primo film -, mantenendo la dignità dei terremotati che, malgrado la tragedia di aver perso tutto, non hanno perso la loro dignità e continuano a vivere la loro vita tra sogni e speranze. Colore ricorrente nel film è il rosso: rosso come il sangue che pulsa, come la vita che grida e che non vuole arrendersi in un paese colpito dal terremoto e che vuole sentirsi vivo, rispettato e parte di una comunità».