CIVITANOVA MARCHE- Ilaria Gaspari è una giovane filosofa e scrittrice di fama nazionale: autrice di diverse pubblicazioni tra cui Lezioni di felicità, Vita segreta delle emozioni, Etica dell’acquario; collabora con importanti quotidiani trattando temi legati alla cultura. Nella serata di venerdì 29 luglio sarà all’arena varco sul Mare di Civitanova Marche, ospite del festival Rocksophia, per parlare di “Vasco e Proust. Il piacere di leggere”, rendendo il pubblico civitanovese edotto di un accostamento quasi inedito, ma al tempo stesso molto intrigante.
Ilaria Gaspari, c’è davvero una componente letteraria nei brani di Vasco?
«Ogni testo, di per sé, per il fatto di essere un testo, è frutto, più o meno cosciente, di un lavorio letterario. L’uso dei tempi verbali nei testi di Vasco lo trovo estremamente interessante, da questo punto di vista. Spesso compaiono verbi al passato remoto, del tutto insoliti e inaspettati: sembrano, davvero, rimarcare un senso di perdita avvenuta, di passato letteralmente, e letterariamente remoto».
La appassiona il cantante di Zocca?
«Io devo dire che non sono una grande appassionata di musica perché soffro di un noioso disturbo cognitivo, l’amusia, che mi impedisce di sentire il ritmo (una bella sfortuna, lo so). È per questo che mi concentro tanto sulle parole. Devo dire che Vasco è un personaggio che mi ha sempre molto incuriosita, lo trovo estremamente originale, atipico, e mi ispira una grandissima simpatia».
In un corso di filosofia, a scuola o all’università, andrebbero analizzati i testi o alcuni passaggi di qualche artista italiano? Quali?
«Io penso che farei analizzare alcuni libretti d’opera che raccontano benissimo, in maniera teatrale, spiritosa, profonda, dei momenti irripetibili della storia del pensiero. In particolare, Le nozze di Figaro, il libretto spettacolare di Lorenzo Da Ponte che riprende l’opera di Beaumarchais, ci racconta cos’è la scandalosa libertà del pensiero libertino sull’amore in una maniera attualissima».
Passiamo a Proust: se vivesse oggi come riscriverebbe Alla ricerca del tempo perduto?
«Mi piacerebbe molto saperlo! Penso che saprebbe, probabilmente, raccontarci quello che è sotto i nostri occhi ma che non riusciamo sempre a mettere a fuoco: che il mondo che conosciamo sta cambiando, anzi è già cambiato. Quando racconta la Francia della Belle époque, in fondo, lui racconta un tramonto; oggi, credo, siamo vicini al tramonto di un altro mondo, quello tardonovecentesco, che scompare, come forse è anche giusto che sia, per far spazio al nuovo, che ci fa paura perché non lo conosciamo ancora».
Leggere la Recherche è davvero una buona terapia contro i mali dell’animo?
«Una delle persone che ho intervistato per il mio podcast mi ha detto che leggere Proust allunga la vita: perché è una lettura che ti mette faccia a faccia con il dilatarsi del tempo, nel momento in cui il tuo tempo di lettrice, di lettore, si trova a rimanere in ascolto della storia di un’altra vita a cui si intrecciano innumerevoli vite di personaggi vividi e indimenticabili. È una di quelle letture che cambia il modo di vedere le cose; e in questo senso, sì, è terapeutica. Paradossalmente, la stessa ragione per cui per molti è ostica, la lunghezza di quest’opera le conferisce un immenso potere curativo».