Macerata

A tu per tu con Massimo Giletti: «Le Marche terra di cultura. Le intimidazioni? Rispondo solo alla mia coscienza»

Il giornalista sotto scorta: «Non ho paura, la mafia esiste anche nel Centro Italia. Bisogna essere attenti e avere coraggio»

A tu per tu con Massimo Giletti
Il giornalista Massimo Giletti

CASTELRAIMONDO – «Io faccio il giornalista e i giornalisti, in quanto tali, hanno il dovere di raccontare la realtà e di approfondire i fatti. Le intimidazioni? Non ho paura, andrò avanti per la mia strada, alla ricerca della verità. Io rispondo solo alla mia coscienza». Lo scandisce accuratamente, Massimo Giletti, dal palco di «Marche in vetrina». Il noto giornalista, conduttore della trasmissione tv di La7, «Non è l’arena», è arrivato ieri (30 luglio), a Castelraimondo, scortato dagli agenti che lo proteggono da un anno. Una carriera giornalistica iniziata per caso, la sua, intrapresa dopo la laurea in Giurisprudenza e per la quale ora – purtroppo – vive quasi blindato. Ma le minacce ricevute dal boss Filippo Graviano (intercettato in carcere dopo l’inchiesta di «Non è l’arena» sull’uscita dal carcere di 300 mafiosi per l’emergenza covid, ndr) non hanno fermato quel giornalista dalla schiena sempre dritta.

A tu per tu con Massimo Giletti
Massimo Giletti durante l’intervista

Giletti, parliamo delle Marche: qual è il suo legame con questa regione?

«Le Marche portano bene e il Ct jesino Roberto Mancini ne è l’esempio. È una terra in cui c’è grande lavoro, una terra di gente per bene, che lavora sodo e poi c’è molta cultura. Tu puoi entrare in una Chiesa e trovare quadri di altissima qualità. Una cultura che percepisci con grande semplicità».

Spesso si associa la mafia al Sud Italia. Invece, complici le difficoltà da pandemia, anche il Centro Italia è terreno fertile per il malaffare…

«Esatto, questo è il punto: è un errore pensare che la mafia proliferi solo al Sud. C’è ancora lo stereotipo che la mafia sia quella con coppola e lupara. Invece, la mafia ha miliardi di euro da investire, soprattutto oggi, con le difficoltà che sta vivendo il nostro Paese».

Una mafia che cambia: prima la coppola, oggi i colletti bianchi…

«Sì, i tanti soldi del malaffare vengono investiti nelle città da persone impensabili e da super personaggi insospettabili».

E allora, in che modo il giornalismo può contribuire a presidiare la legge?

«Bisogna essere sempre attenti e controllare, avere la forza e il coraggio di seguire magistrati o uomini delle forze dell’ordine che fanno il proprio lavoro e che ti possono dare delle dritte su cui lavorare».

Un momento difficile per le imprese marchigiane: lei, da imprenditore, come vive le difficoltà del settore commerciale legate alla pandemia?

«Io sono presidente della fabbrica di famiglia (la Giletti Spa, ndr) e questo non è un momento facile, ma continuiamo ad investire. Come fece mio padre, non abbiamo mai delocalizzato: è un senso di attaccamento alle radici della propria terra. D’altronde, è quando i giochi si fanno duri che si vedono gli uomini veri. Nelle tempeste ci sono due possibilità: o se ne esce migliori, o non se ne esce».

E lei?

«Io spero di uscirne migliore».

Massimo Giletti intervistato dal nostro cronista

Parliamo di giornalismo: com’è cambiata questa professione negli anni?

«Per i giovani, adesso, è molto difficile avvicinarsi a questo mondo. Quando iniziai, io ero un ragazzo e avevo una chance, una possibilità. Oggi, invece, è molto complicato, perché le grandi aziende (tipo la Rai) non riescono più a prendere i giovani. Ai miei tempi, avevo tanti ragazzi che, come me, ce l’hanno fatta. Ora devi essere ancora più bravo degli altri, poiché ci sono meno spazi e i giornali sono in crisi».

Però, la pandemia ci ha fatto toccare il fondo. Ora si può solo risalire…

«Forse, se i soldi che arriveranno all’Italia venissero spesi bene, ciò potrebbe essere un volano per tutto il sistema».

Si dice che il giornalismo sia morto per via dei social: è davvero così?

«No, perché i social non riescono ad approfondire. I social sono un titolo, uno slogan. Un po’ come la politica, che agisce allo stesso modo: fa slogan. Io, al contrario, voglio l’inchiesta, l’approfondimento. Il giornalista vero è chi si alza al mattino e con le proprie scarpe, sui marciapiedi, cerca le notizie. Chi attacca il social ha una visione banale e superficiale, mai completa, che non ci fa migliorare, ma ci fa diventare più pecora degli altri».  

Il 3 agosto torna in tv con una puntata speciale «Non è l’arena» (La7, ore 21.15): di cosa si tratta?

«Di uno speciale per difendere due ragazze che dicono di essere state stuprate e non vengono credute. La giustizia farà la sua strada (il Pm ha chiesto l’archiviazione del processo), ma intanto la tv deve ascoltare la gente e occuparsi di chi, come loro, ha poca voce».

Foto Corriere.it – “Non è l’arena”