CAMERINO – Le tragedie in Italia non sono tutte uguali. Federico Maccari, Ceo di Entroterra Spa, che produce La Pasta di Camerino, ha deciso di affidare a una lettera la sua amara riflessione, “paragonando” la ricostruzione conseguente al crollo del ponte di Genova e quella del sisma del Centro Italia del 2016. E noi, sulla scia delle sue parole deluse, lo abbiamo intervistato.
La lettera di Federico Maccari
«Ho molti amici e clienti a Genova, e vedere le immagini del ponte Morandi crollato il 14 agosto 2018 e praticamente ricostruito, con le auto che vi transiteranno entro fine luglio, mi riempie di gioia. Mi restituisce un po’ di quell’orgoglio di essere italiani che mi è stato tramandato dalla mia famiglia. Appena un attimo dopo però, forse ispirato proprio da quello stesso orgoglio, penso che al momento di quella tragedia erano già passati quasi due anni dal sisma del 2016 che ha cambiato per sempre la storia dell’entroterra marchigiano. Ci dividono solo 450 chilometri, eppure tra Genova e Camerino è tutto molto più diverso di quanto non dica la distanza geografica. Noi abbiamo ancora le macerie a terra, le persone senza la loro casa, troppi senza lavoro e senza fiducia per il futuro. Ci mancava poi anche il Coronavirus a darci un ulteriore colpo inatteso. Quello del sisma del 2016 è stato definito il più grande cantiere d’Europa, musica per un’economia locale, marchigiana e italiana che anela ossigeno sotto forma di lavori pubblici e investimenti. A Genova c’era un’opera sola da rifare e quindi, seppur rilevantissima nello sforzo progettuale e con ostiche questioni legali in corso, probabilmente nel complesso più agevole. Io credo invece che la politica abbia preso per Genova le decisioni giuste, anche spinta dal fatto che il ponte Morandi è un nodo infrastrutturale indispensabile per merci e persone, fondamentale per l’economia di quel territorio e per far vivere il porto di Genova che è uno degli scali più importanti d’Europa. Intorno a quel percorso così brillantemente quasi completato le luci dei media raramente, o solo per brevi momenti, si sono spente. Un commissario plenipotenziario capace e motivato, un progetto chiaro e condiviso, fondi a disposizione e via ai lavori. Meno di 3 mesi e quella tragedia resterà quasi solo nei cuori di chi ha perso in quel crollo un parente o un amico. Veniamo a noi invece: abbiamo visto quattro commissari straordinari succedersi in meno di quattro anni, ma pochissimi risultati apprezzabili. Solo i media locali non si stancano di raccontare e denunciare. La ricostruzione pubblica è ferma, quella privata segna pochi successi ma del resto, il guazzabuglio di norme rende più complicato completare una pratica edilizia per avviare un cantiere nel cratere in 120 comuni di quattro regioni che farlo in qualsiasi altro comune d’Italia e, in un Paese che chiede sempre lavoro dicono che manchi il personale. Hanno complicato le norme invece di semplificarle. Paradosso nostrano. Per questo sento di nuovo vacillare il mio orgoglio di essere italiano. Almeno quello correlato a questo tempo storico. Italiani, sempre generosi in tutte le accezioni e coniugazioni del termine e spesso protagonisti della storia, oggi macchiati da una politica capace di predicare e promettere solo per gli interessi elettorali del proprio partito e con ottiche di breve periodo. Spesso incuranti o incoscienti dell’effetto complessivo, creano false promesse e speranze a chi proprio su queste ha creduto con tutta la sua anima per tenere le sue radici e il suo futuro su questo lembo di terra, quello dell’entroterra marchigiano, dell’entroterra italiano, da sempre meravigliosa sintesi dell’Italia. Un entroterra fatto di tradizioni, di persone e prodotti genuini, semplici e autentici. Elementi impercettibili e sconosciuti per chi, miope, misura il valore di un territorio solo con indicatori economici, spesso solo legati a consumismo ed efficienza. Tempo fa feci una riflessione come questa chiedendomi a chi interessasse il futuro di questo territorio. È passato un anno e voglio confidare che ormai quella risposta me la sono data con tutto lo sconforto e la rabbia di un figlio di questa terra la cui famiglia continua a investire per dare lavoro a chi lo abita. Non voglio perdere l’orgoglio di essere italiano e non voglio smettere di credere che persone giuste e illuminate trovino il progetto adeguato per queste zone. Come per Genova, abbiamo bisogno di un ponte, firmato dal miglior architetto, che colleghi i pregi e le unicità delle nostre comunità ad un futuro con un sistema capace di valorizzarli. Prometto di conservarne gelosamente ancora qualche stilla, casomai qualcuno intenda davvero stupirmi e far sì che nell’entroterra marchigiano avvenga quel piccolo miracolo che si è compiuto a Genova. Succederà?».
L’intervista
Maccari partiamo proprio dalla sua ultima domanda? Succederà?
«Io me lo auguro di tutto cuore anche se il Governo avrebbe dovuto prendere queste scelte molto prima perché oggi ci troviamo davanti una realtà ben diversa anche a causa di questa enorme emergenza sanitaria che stiamo vivendo. Se quattro anni fa avevamo delle attività da portare avanti e delle risorse per farlo, forse tra non molto non ci saranno più. Gli studi ci dicono che il nostro Pil calerà fino al meno 12% e credo, purtroppo, che la percezione che si avrà verso i terremotati non sarà la stessa».
Il nuovo commissario Legnini, come hanno ribadito in molti, sembra stia facendo un ottimo lavoro e stia portando avanti questioni che in quattro anni non erano mai state affrontate. Cosa ne pensa?
«Non ho avuto modo di incontralo personalmente ma dalle informazioni che arrivano, salvo smentite, credo che stia ottenendo qualcosa di più dal Governo rispetto ai suoi predecessori. È ancora presto per fare bilanci, staremo a vedere. Il fatto è che abbiamo avuto quattro commissari in altrettanti anni sono sinonimo dell’inadeguatezza del Governo; come avviene in un’azienda, se il manager cambia continuamente, si perdono mission, traiettorie, pensieri e modalità di agire e si crea soltanto confusione».
Quale è la prima mossa che il Governo dovrebbe mettere in campo per il Centro Italia?
«Noi pochi imprenditori della zona ci siamo fatti subito promotori di una attività importante, la ZES, la zona economica speciale. Proprio perché l’iniziativa pubblica è al palo, in un’area come la nostra si sarebbe potuto stimolare quella privata, rivolta a giovani e meno giovani per incentivare il lavoro sul nostro territorio e nelle zone colpite dal sisma. Sarebbe stato un modo per attrarre nuovi investimenti e dare libero sfogo in queste aree agli imprenditori. Mi auguro che la zona economica speciale venga considerata anche per il futuro nonostante dovesse essere valutata subito subito perché, a prescindere dalla rilevanza economica, che per il Governo sarebbe minima, parliamo di un’azione sociale che, psicologicamente, è in grado di ridare fiducia e speranza a chi popola questi luoghi».
Il punto di vista di Mangialardi
Anche il presidente dell’Anci Marche Maurizio Mangialardi è intervenuto sulla questione chiedendo, per il sisma del Centro Italia, il modello Genova.
«Vedere le immagini del ponte praticamente finito è una grande gioia e ho già inviato le congratulazioni per l’ottimo lavoro svolto al collega Marco Bucci, Presidente di Anci Liguria che è anche sindaco di Genova e commissario straordinario» ha detto Mangialardi. «Per la ricostruzione post sisma 2016 se anche noi avessimo avuto le stesse regole, considerando i sindaci che abbiamo, sono convinto che oggi non ci troveremmo a 4 anni da quella tragedia, con una ricostruzione sia pubblica che privata ancora tutta da avviare – ha aggiunto Mangialardi -. Occorre replicare il modello Genova per il sisma del centro Italia. Lo abbiamo sempre chiesto e oggi lo ribadiamo con grande determinazione convinti che sia l’unica strada possibile per dare una svolta a questa emergenza. Per questo chiediamo che il Governo e il Parlamento diano seguito alla proposta inoltrata dal Commissario Legnini che è stata licenziata dal coordinamento delle Anci terremotate. Al suo fianco avrà 120 sindaci di cui 80 delle Marche, e le strutture delle 4 Anci che ne sosterrebbero e agevolerebbero l’azione. Ogni altro rinvio o soluzione diversa provocherebbe solo ulteriori ritardi accrescendo il senso di frustrazione e di rassegnazione che i cittadini e i sindaci del cratere già avvertono molto forte».