MACERATA – «Restate a casa e nelle scuole: in città gira uno squilibrato che spara». Il messaggio telefonico registrato dall’allora sindaco Romano Carancini ha rimbalzato nelle case dei maceratesi la mattina del 3 febbraio 2018, quando Macerata venne scossa dal raid razzista di Luca Traini. Un sabato di terrore in cui, per circa due ore, si sono accavallati messaggi, controlli e inseguimenti dietro quell’Alfa Romeo 147 nera che girava per tutta la città, a bordo della quale c’era un giovane che sparava ai passanti. Solo dopo il suo arresto, avvenuto davanti al Monumento ai Caduti venne svelata l’identità di quel ragazzo, il 28enne Luca Traini e si capì la matrice di quei colpi che non erano stati sparati a caso, ma contro “bersagli” precisi. Nel raid, infatti, rimasero ferite sei persone, tutti migranti di origine africana con età compresa tra i 20 ed i 32 anni. Nei mesi successivi, poi, fu lo stesso Traini a spiegare che il suo gesto era per fare giustizia dopo quanto accaduto alla 18enne Pamela Mastropietro.
«Quando ho ricevuto la telefonata di un carabiniere che mi parlava di un uomo che sparava in giro per la città – ricorda l’allora sindaco Carancini – la prima cosa che gli ho chiesto è se stesse scherzando. Quando mi disse che era tutto vero sono corso in Comune, lasciando la riunione in Provincia dove stavamo discutendo del sistema museale della città». Una corsa durante la quale l’incredulità si mescolava ai pensieri, anche se la distanza tra la Provincia e il Comune è di poche centinaia di metri, e in cui il sindaco disse di tornare a casa alle persone che incontrava lungo il suo percorso, perché non si sapeva dove Traini avrebbe potuto colpire. «Appena arrivato in Comune c’era la mia segretaria con cui ho registrato quel messaggio telefonico per informare i cittadini, far capire il pericolo, ma senza creare panico. Quello era il momento della lucidità – aggiunge Carancini – e il sistema di Alert che avevamo imparato a utilizzare durante il terremoto diventò ancora più tristemente attuale per avvertire di un pericolo incombente. E, ancora oggi quando risento quel messaggio, provo una certa tensione».
Carancini ricorda quei giorni difficili per la città, in cui era forte il senso di smarrimento, che seguiva a quello già provato pochi giorni prima dopo l’omicidio di Pamela Mastropietro. «Quel periodo è una cicatrice che la città si porta dentro e si continua a osservare, è un passaggio che l’ha segnata nell’anima, ma non l’ha cambiata nel suo rapporto verso gli immigrati – aggiunge Carancini -. L’amministrazione Parcaroli su questo ha fatto una cesura storica che non condivido (chiudendo i progetti di accoglienza ex Sprar, ndr). Macerata, invece, ha saputo reagire. E’ come se una famiglia subisse un lutto, per cui la cicatrice resta nell’anima ma poi si reagisce e si torna a vivere. Anche io porto la mia cicatrice perché le accuse di quei giorni per non aver partecipato alla manifestazione anti-fasciata del 10 febbraio 2018 sono un’etichetta che ancora mi porto dentro. Non credo di dover fare un’analisi del sangue per dimostrare che sono convintamente anti-fascista e che condanno ogni forma di violenza basata sul razzismo, ma ho tentato più volte di spiegare che in quel momento ho cercato solo di interpretare il dolore e l’incredulità che la città stava vivendo senza concentrarsi solo sull’aspetto politico».
Invita, invece, a non nascondere la polvere sotto il tappeto Michele Verolo di Sinistra Italiana, invitando la politica a non alzare muri e a non lasciare indietro nessuno. «Gideon Azeke, Omar Fadera, Wilson Kofi, Festus Omagbon, Jennifer Otiotio e Mahamadou Touré erano, loro malgrado, lungo la traiettoria dei colpi sparati da Traini e nessuno sa, purtroppo o per fortuna, come si riesca a vivere con un simile peso nell’anima – ricorda Verolo, citando le sei persone ferite da Traini -. La tentazione di mettere la polvere sotto al tappeto può essere forte, ma dimenticare sarebbe imperdonabile. Non abbiamo condiviso la posizione del Pd e di altri pezzi del mondo progressista secondo cui la manifestazione antifascista del successivo 10 febbraio sarebbe stata da evitare. Le cose vanno chiamate con il loro nome, e quello subito da Macerata si chiama attentato terroristico di matrice fascista. Il silenzio, in questi casi, non è un’opzione. Non lo era quattro anni fa e non lo è oggi. Il raid di Traini è arrivato ad un paio d’anni di distanza dall’omicidio di Emmanuel Chidi Namdi a Fermo ed è stato seguito da altre manifestazioni di odio e violenza preoccupanti in giro per l’Italia: citiamo soltanto l’assalto alla sede della Cgil a Roma o gli insulti ricevuti dal bambino ebreo in Toscana. A chi chiede di chiudere le frontiere e discrimina, a parole e con i fatti, le persone in base al colore della loro pelle, della loro fede o del loro orientamento sessuale perché crede, così, di costruire un mondo migliore, noi rispondiamo con poche semplici parole: istruzione, lavoro, reddito per tutte e tutti. Una società migliore è una società accogliente ed inclusiva che non lascia indietro nessuno e nessuna: questo dovrebbe essere l’obiettivo della politica».
Luca Traini, condannato per strage, si trova attualmente in carcere ad Ancona dove sta scontando la pena di 12 anni che gli è stata inflitta in primo grado il 3 ottobre 2018, poi confermata in Appello il 2 ottobre 2019 e in Cassazione il 24 marzo 2021.