Macerata

Il sindaco Leonardo Catena dall’ospedale: «Qui ho visto l’inferno in terra. Disperazione, sofferenza e morte»

Con una commovente lettera, il primo cittadino di Montecassiano, ricoverato per aver contratto il virus, ha voluto testimoniare i terribili momenti della malattia e l'umanità di tutto il personale sanitario

Il sindaco di Montecassiano Leonardo Catena

Il sindaco di Montecassiano Leonardo Catena aveva annunciato lo scorso 12 marzo, con un messaggio sui social, di essere risultato positivo al Covid-19. Una settimana dopo era stato ricoverato perché le sue condizioni si erano aggravate e oggi, con un post sui social, ha voluto testimoniare ciò che ha passato e sta passando in questo terribile momento ma anche l’umanità di tutto il personale sanitario che è impegnato sul fronte dell’emergenza. Di seguito la sua lettera integrale.

«Dopo più di due settimane di febbre e dolori e i primi otto giorni di ricovero ospedaliero arrivano i primi, seppur deboli, segnali incoraggianti con la febbre che se n’è andata (e che mi auguro non ritorni) così come diversi dolori. Purtroppo non sono ancora fuori pericolo di vita, ho una seria polmonite bilaterale interstiziale che mi obbliga a respirare livelli significativi di ossigeno per non desaturare. Non vi nascondo che nei momenti più difficili e ce ne sono stati diversi, quando la notte e la malattia mi facevano sprofondare nelle zone più ignote dei miei pensieri, ho pensato che non ce l’avrei fatta.

Ho ripensato a tutta la mia vita, a tutte le persone incontrate, quelle perse e quelle con cui sono rimasto in contatto, al viaggio straordinario vissuto fin qui e all’amore per la vita. Ho scritto e inviato dei messaggi che sembravano d’addio ai miei familiari e ai miei amici più cari. Ho pianto pensando a quanto li avrei spaventati ma dovevo trovare il coraggio di dirgli addio. Se mi avessero intubato avrei potuto non averne più l’occasione. La paura di morire non quella astratta che noi tutti proviamo ma quella tangibile, reale, presente. Quella paura è ancora qui con me e non mi lascia mai. Ho pianto da solo nella notte che non passa mai. Ho cercato gli occhi di medici e infermieri per sete di contatto umano. Certo gli operatori sanitari non sono tutti uguali quanto ad empatia e gentilezza ma tutti fanno un lavoro straordinario e molti si contraddistinguono per una umanità commovente.

Una sera piangendo, con l’ossigeno a tenermi appeso alla vita, ho chiesto ad un’infermiera di poterle tenere un po’ la mano. Qua in ospedale ho visto l’inferno in terra. Disperazione, sofferenza e morte. Un giorno, subito dopo essere stato spostato di reparto, ho dovuto consumare il pranzo con di fronte a me il corpo senza vita di un anziano. Ho sentito persone urlare che non volevano morire, lamenti. Ma anche tanta speranza alimentata da uomini e donne che seppur spaventati hanno saputo mettere in campo oltre alla professionalità anche la loro umanità. Uomini e donne senza volto perché con il corpo e i visi quasi del tutto coperti dalle protezioni, ma con gli occhi più comunicativi che abbia mai guardato. Ci ho visto di tutto, in realtà erano come fossero nudi. Coraggio, paura, amore, stanchezza. Quando la posizione del letto lo consentiva (sono stato spostato tre volte: da otorino a terapia semintensiva poi chirurgia) ho cercato gli squarci di paesaggio e vita che alzando lo schienale mi consentivano di alimentare la voglia di guarire e tornare a vivere. In quella piccola stanza che diventa il tuo mondo tutti i particolari diventano decisivi.

La vicinanza del campanello l’unico modo per richiamare attenzione su di te, gli strumenti attaccati come protesi per leggere i parametri vitali e il loro andamento, le flebo che scorrono goccia goccia, il pappagallo da poter raggiungere facilmente così come salviette e tovagliolini, e i succhi di frutta che spesso sono stata l’unica cosa che riuscivo a buttar giù oltre alle decine di pastiglie. Tanti amici e conoscenti mi hanno scritto, quasi mai avevo la forza di rispondere. Vi voglio ringraziare ora per i vostri pensieri.

Ringrazio tutti quegli Oss, infermieri e infermiere, medici (tutti ma uno in particolare Yuri per la straordinaria vicinanza) che mi hanno tenuto in vita. Ve ne sarò sempre grato. Roberta che oltre a essermi vicina mi ha fatto arrivare cose che mi servivano. Ringrazio i miei familiari e amici più cari per la vicinanza ognuno espressa a proprio modo. E Chiara, con cui abbiamo avuto momenti difficili negli ultimi mesi, in questi giorni mi ha salvato la vita. Ha tenuto accesa la luce, rinunciando a dormire la notte, pur di non farmi perdere nelle tenebre. Mi è stata vicina ogni secondo, incoraggiandomi, condividendo con me le emozioni, contattando i medici per avere informazioni. Non so se ce l’avrei fatta senza di te, davvero non lo so.

La battaglia la gioca il corpo, ma una non da meno la mente. Può prendere la voglia di lasciarsi andare quando le cose peggiorano nonostante gli sforzi sanitari. Ma l’idea di non rivederti mai più non entrava in quello che potevo accettare, così come di non rivedere più i miei nipoti e la mia famiglia. Con la speranza che arrivino nuovi segnali positivi mando un saluto e un abbraccio ai miei straordinari amministratori locali che hanno lavorato benissimo in squadra per sostituirmi e a tutti gli amici montecassianesi e non e i colleghi accademici e amministratori che hanno fatto il tifo per me. Vi voglio bene».