Macerata

Omicidio di Pamela Mastropietro, a settembre il processo d’Appello per Innocent Oseghale

È stata fissata al 16 settembre l'udienza dinanzi ai giudici della Corte d'Assise d'Appello di Ancona, dopo il ricorso presentato dai legali del nigeriano condannato in primo grado all'ergastolo per l'omicidio della 18enne romana

MACERATA – Sarà celebrato dopo l’estate, il prossimo 16 settembre il processo in Corte d’Assise d’Appello di Ancona nei confronti di Innocent Oseghale, il nigeriano condannato in primo grado al carcere a vita per aver ucciso Pamela Mastropietro, la 18enne romana il cui corpo venne fatto a pezzi e ritrovato all’interno di due trolley lasciati sul ciglio della strada a Casette Verdini di Pollenza (a pochi chilometri da Macerata) la mattina del 31 gennaio del 2018.

 Per gli avvocati della difesa Simone Matraxia e Umberto Gramenzi non sarebbe stato Oseghale a uccidere la ragazzina scappata nemmeno 24 ore prima dalla comunità Pars di Corridonia, a loro avviso se il nigeriano avesse voluto uccidere la 18enne romana l’avrebbe accoltellata mirando a organi vitali mentre i due fendenti inferti a distanza di minuti l’uno dall’altro, avevano attinto il fegato (per la difesa i fendenti sarebbero stati provocati dall’azione di depezzamento del cadavere). I legali ritengono anche che non ci siano prove sufficienti a stabilire che il nigeriano abbia abusato sessualmente della ragazza. Per questo motivo a gennaio avevano depositato il ricorso contro la sentenza di primo grado.

Il procuratore di Macerata Giovanni Giorgio

Il 29 maggio dello scorso anno, infatti, i giudici della corte d’Assise di Macerata, presieduta da Roberto Evangelisti, condannarono il nigeriano per tutti i reati contestati (omicidio, violenza sessuale, distruzione, vilipendio e occultamento di cadavere) all’ergastolo. Nel condividere la ricostruzione della procura (la difficile indagine fu coordinata dal procuratore capo Giovanni Giorgio e dal sostituto Stefania Ciccioli) i giudici ritennero che Oseghale, dopo aver fatto da tramite per procurare una dose di eroina alla ragazza, l’avrebbe ospitata nella sua abitazione di via Spalato e lì, approfittando dello stordimento dovuto al consumo di droga, avrebbe abusato di Pamela per poi accoltellarla quando la 18enne, ripresasi, aveva manifestato la volontà di andare via.  

L’avvocato Simone Matraxia

Per i legali del nigeriano, però, la perizia eseguita dai consulenti della procura non sarebbe esente da errori, per questo, hanno rinnovato la richiesta di una nuova perizia, questa volta super partes compiuta da un perito o da un collegio peritale. La difesa insiste sulla tesi dell’overdose dovuta all’eroina che la ragazza si era iniettata usando per la prima volta una siringa, dopo il suo ricovero di circa tre mesi alla comunità terapeutica Pars.

Gli accertamenti disposti dalla procura all’epoca non furono certo semplici. Le difficoltà riscontrate dai consulenti nell’effettuare le analisi, vanno ricondotte alle condizioni in cui era stato ridotto il corpo della ragazzina. Oseghale, infatti, fece a pezzi il corpo di Pamela, in termini tecnici depezzò il cadavere, lavando ogni singola parte, ogni singolo organo con la candeggina. L’obiettivo era quello di cancellare ogni traccia del rapporto sessuale avuto con la diciottenne privando quel corpo inerme di quasi tutto il sangue.

«Confidiamo – ha commentato l’avvocato Matraxia – in una parziale riforma della sentenza. Le prove che sono state acquisite nel processo di primo grado possono portare ad una diversa valutazione dei fatti. Poi c’è anche la questione relativa alla nullità degli accertamenti tecnici irripetibili che avrà sicuramente una rilevanza assoluta».

Ed è questo un altro nodo cruciale. Sul processo di secondo grado pende come una spada di Damocle una recente pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione che potrebbe avere effetti anche sul processo di Appello di Oseghale. A voler riassumere la questione, lo scorso febbraio le Sezioni Unite si sono espresse su una questione di diritto sollevata dalla Terza Sezione penale della Cassazione chiamata a pronunciarsi su un caso di violenza sessuale per il quale i legali dell’imputato avevano eccepito la nullità del decreto di giudizio immediato perché l’atto era stato notificato non all’imputato detenuto, ma al legale presso cui l’imputato aveva eletto domicilio. In quel caso le Sezioni Unite ritennero che «la notifica all’imputato detenuto va eseguita presso il luogo di detenzione». In che termini questo può avere effetti sul processo di secondo grado a carico del nigeriano?

All’epoca la procura di Macerata, seguendo tra l’altro un orientamento che la Cassazione riteneva legittimo, notificò gli atti relativi agli accertamenti irripetibili che il medico legale Mariano Cingolani e il tossicologo Rino Froldi effettuarono dal 3 all’8 febbraio 2018 sui resti di Pamela all’allora avvocato d’ufficio del nigeriano, Monia Fabiani, presso il cui studio Oseghale aveva eletto domicilio. La notifica quindi non venne fatta personalmente al nigeriano che era detenuto a Montacuto. Con la pronuncia delle Sezioni Unite quelle notifiche sarebbero nulle e così sarebbero inutilizzabili le perizie che escludevano l’overdose e stabilivano che la causa della morte era riconducibile alle coltellate inferte da Oseghale.