MONTECASSIANO – Sei ore ininterrotte per sentire i consulenti tecnici delle difese che hanno sollevato dubbi sull’orario della morte di Rosina Carsetti e sulle cause delle costole fratturate. Con l’udienza di oggi si è chiusa di fatto la fase istruttoria del processo celebrato in Corte d’Assise per l’omicidio della 78enne (avvenuto nel tardo pomeriggio del 24 dicembre 2020 a Montecassiano). Gli ultimi testimoni sentiti in aula sono stati i consulenti di parte delle difese: una genetista, due medici legali e un consulente informatico. I giudici della Corte hanno respinto sia la richiesta del pubblico ministero Vincenzo Carusi di un confronto tra i consulenti (ammettendo di risentire il consulente della procura per specifici chiarimenti) sia la richiesta dell’avvocato Valentina Romagnoli di una perizia psichiatrica su Enea Simonetti. La prossima udienza è fissata al 1° dicembre quando verrà chiusa formalmente l’istruttoria, saranno eventualmente sentiti gli imputati se dovessero decidere di rendere spontanee dichiarazioni, e si procederà (a oltranza) con la discussione.
Oggi, dunque, per le difese di Enrico Orazi, 80 anni (marito della vittima), Arianna Orazi, 50 anni (figlia), ed Enea Simonetti, 22 anni (nipote) è stata la giornata dei propri consulenti: Anna D’Ambrosio, specialista in genetica forense, il medico legale Francesca Tombesi e il consulente informatico Henry Coppari indicati dalla difesa di Enea e il medico legale Luca Pistolesi nominato dall’avvocato Barbara Vecchioli per la difesa di Enrico. D’Ambrosio si è concentrata sull’analisi delle tracce biologiche eseguita dai Ris sui reperti raccolti il 24 dicembre 2020, ovvero i due tamponi acquisiti sul corpo di Rosina (uno sul viso e uno sul collo), il maglione indossato dalla vittima, reperti subungueali, i due calzini che avevano messo in bocca Arianna e il padre Enrico per simulare la rapina, due cavi elettrici e delle banconote, e sui guanti che Arianna aveva rubato nella caserma dei carabinieri a gennaio 2021. In particolare nei tamponi su viso e collo di Rosina era stato trovato su uno il Dna di un soccorritore del 118 e sull’altro il Dna di un carabiniere. Sull’assenza del Dna dell’aggressore la consulente ha dichiarato che «è molto difficile, senza usare presidi e a una vicinanza minima, non lasciare nessun tipo di traccia biologica, saliva, sudore o un capello. Potrebbe aver usato qualcosa. Una coperta? Sarebbe stato un grosso filtro. L’assenza di tracce dell’aggressore sotto le unghie fa invece pensare che non è riuscita ad arrivare a portare via materiale biologico». Alla domanda del pm se sia possibile rilevare Dna su un’impronta D’Ambrosio ha risposto che «C’è chi potrebbe lasciare una traccia non leggibile, ci sono i cosiddetti buoni donatori e i cattivi donatori».
Il medico legale Tombesi ha condiviso con il consulente della procura Roberto Scendoni le cause della morte (di tipo asfittico con modalità di strozzamento) divergendo invece da altre conclusioni, a iniziare dall’orario della morte di Rosina. Per Scendoni si collocherebbe tra le 16.35 e le 18.35, per Tombesi più verso le 18.35 considerando due fenomeni cadaverici: la rigidità e le ipostasi che in caso di morte asfittica compaiono più precocemente. «Il medico del 118 – ha ricordato Tombesi – alle 20.24 ha registrato assenza di rigidità e di ipostasi, alle 23.05 Scendoni rileva una rigidità tenace alla mandibola. Nella morte asfittica c’è iperattività muscolare che si verifica quando viene a mancare l’ossigeno. La rigidità inizia a presentarsi già da due ore, il medico del 118 dice che erano assenti i segni di una morte avvenuta molte ore prima, altrimenti non avrebbero provato a rianimare il soggetto. Se fosse successo alle 17, ovvero tre ore prima, i sanitari non avrebbero tentato la rianimazione. Poi ci sono altri fattori che possono influire come l’entità della massa muscolare, il rigor mortis arriva più velocemente nei soggetti poco muscolosi, Rosina era un soggetto gracile, e questo è un altro fattore che ci spinge a pensare che l’ora del decesso fosse spostata più tardivamente rispetto a quella indicata dal dott. Scendoni. Anche le ipostasi si presentano più precocemente in una morte asfittica dove il sangue diventa particolarmente fluido. Le ipostasi si rendono più evidenti verso la quarta ora dal decesso, ma la loro comparsa inizia da dopo circa mezz’ora. Il medico del 118 non nota ipostasi alle 20.24, rilevò girando il cadavere lievi macchie rosa dietro la schiena che potrebbero essere dovute al massaggio cardiaco che avrebbe creato rossori dietro la schiena». Sulle fratture costali (13) Tombesi non ha escluso che possano essere state provocate da un massaggio cardiaco su una donna che aveva un’osteoporosi importante.
Per il medico legale Pistolesi le lesioni trovate sul cadavere sono compatibili con una caduta a terra del corpo e con il successivo massaggio cardiaco, in merito all’orario del decesso ha evidenziato che: «La rigidità comincia contemporaneamente su tutto il corpo ma la si apprezza di più sui muscoli mimici, perché sono più piccoli. Lì la si ritrova più facilmente e prima. In una morte asfittica si ha una ipercontrattività dei muscoli per cui la rigidità è più veloce. Sposto l’ora della morte più verso l’arrivo dei soccorsi, altrimenti non sarebbero stati in grado di incanulare e intubare».
Sentito su questi punti Scendoni ha confermato gli esiti della propria consulenza: «Il range dell’orario della morte lo riconfermo, a chi non è addetto a questo tipo di intervento una minima rigidità può sfuggire, la vittima non aveva una rigidità media o intensa, ma che non ci fosse una minima rigidità non può essere sostenuto». Sulle fratture delle costole il consulente della Procura ha puntualizzato: «Ritengo che ci siano stati due meccanismi fratturativi, un primo meccanismo (dell’aggressore, ndr) a cui si è sovrapposto il massaggio cardiaco». Scendoni ha poi precisato un passaggio sulle infiltrazioni emorragiche: «Dopo un’ora e mezza dalla morte, senza i meccanismi coagulativi del sangue, i tessuti non assorbono il sangue. Posso pompare ma il sangue non si infiltra se il soggetto è morto. Se magari è morto da poco tempo, una minima infiltrazione può esserci, ma se parliamo di ore l’infiltrato non c’è».
Dopo i consulenti la parola è passata alla difesa di Enea Simonetti che ha chiesto una perizia psichiatrica sul ragazzo e sulla madre Arianna. Dopo aver ripercorso la storia del 22enne e del rapporto che aveva con la madre l’avvocato Romagnoli ha evidenziato: «È un legame che va oltre quello fisiologico tra madre e figlio. Ritengo che la personalità di questo ragazzo vada indagata». Il pubblico ministero si è opposto: «Dagli atti emerge che lui poteva anche essere problematico, ma era in questo mondo, sapeva di esserci, capiva quello che faceva e le conseguenze di quello che faceva». La Corte ha respinto la richiesta: «La perizia psichiatrica dev’essere finalizzata ad accertare una capacità di intendere e di volere dell’imputato al momento del fatto, al contrario gli eventuali stati emotivi o passionali non escludono né diminuiscono l’imputabilità».