Macerata

Omicidio Sarchiè, imprenditore condannato per favoreggiamento

Tre anni e sei mesi all'uomo, di origine catanese ma da anni residente a Castelraimondo, accusato di aver messo a disposizione dei killer del commerciante di pesce, il capannone della propria ditta dove poi era stato smembrato il furgone della vittima subito dopo il delitto

Pietro Sarchiè

MACERATA – Mise il capannone della ditta della moglie ma di cui era amministratore di fatto a disposizione dei killer di Pietro Sarchiè (nella foto) e lì il furgone della vittima venne letteralmente cannibalizzato. Imprenditore condannato a tre anni e sei mesi di reclusione per favoreggiamento personale e ricettazione, cinque anni di interdizione dai pubblici uffici, oltre al pagamento di 15.000 euro di provvisionale per ciascuna parte civile, mentre il risarcimento dovrà essere quantificato in sede civile. Assolto dal reato di riciclaggio. Per tutti e tre i reati il sostituto procuratore Stefania Ciccioli aveva chiesto una condanna a sette anni di reclusione e 9.000 euro di multa.

Il processo nasce dall’indagine sull’omicidio di Pietro Sarchiè il commerciante di pesce sambenedettese ucciso il 18 giugno del 2014 a Seppio di Pioraco e il cui corpo fu ritrovato il 5 luglio successivo semicarbonizzato e sotto materiale edile nella Valle dei Grilli tra San Severino e Castelraimondo. Sarchiè vendeva il pesce nell’entroterra Maceratese e lì fu assassinato da Giuseppe e Salvatore Farina, padre e figlio catanesi, condannati in via definitiva rispettivamente all’ergastolo e a 20 anni di reclusione per quel delitto.

Nel corso delle indagini gli inquirenti trovarono nel capannone della ditta della moglie dell’imprenditore, a Castelraimondo, i resti del furgone di Sarchiè insieme a diversi effetti personali del commerciante. Dai successivi accertamenti i carabinieri appurarono che tra l’imprenditore e Giuseppe Farina c’erano stati numerosi contatti telefonici prima del delitto, il giorno dell’omicidio e nei giorni successivi e all’imprenditore furono contestati i reati di favoreggiamento personale, riciclaggio e ricettazione.    

Per il pubblico ministero Stefania Ciccioli, i due (l’imprenditore e Farina) hanno mantenuto «continuativi e costanti rapporti» parlando su una nuova utenza che Farina aveva attivato a cavallo del delitto e che l’imprenditore già conosceva. In merito al furgone, la difesa – sostenuta dall’avvocato Manuela Catani – aveva evidenziato che Farina aveva chiesto all’imprenditore la disponibilità del capannone per effettuare lavori di manutenzione al furgone che il figlio Salvatore usava per vendere il pesce. In realtà per la procura era impossibile che l’imprenditore non si fosse accorto che quello nel capannone non era il furgone di Salvatore. Il furgone di Sarchiè era un Ford frigo con onde blu disegnate sui tre lati del cassone, mentre quello di Salvatore Farina era più piccolo, non aveva disegni ma una scritta “Pesce fresco da Salvo”. «I due mezzi – ha ribadito il pm – non potevano essere confusi. Anche un testimone che era entrato nel capannone capì che quello era il furgone di Sarchiè perché aveva visto la foto sui giornali».

Il pubblico ministero ha chiesto la condanna a sette anni per tutti i reati contestati. L’avvocato Gianfranco Borgani, in sostituzione dei colleghi di parte civile Serena Gasperini e Daniele Fabrizi di Roma, ha chiesto la condanna dell’imputato e 500.000 euro di risarcimento complessivi (200.000 per la vedova Ave Palestini e 150.000 euro ciascuno per i figli Jennifer e Yuri Sarchiè). I giudici del collegio hanno condannato l’imprenditore a tre anni e sei mesi per favoreggiamento e ricettazione, cinque anni di interdizione dai pubblici uffici, oltre al pagamento di 15.000 euro di provvisionale per ciascuna parte civile e lo hanno assolto dal reato di riciclaggio. Delusione è stata espressa dalla figlia della vittima, Jennifer Sarchiè, per la quantificazione della pena: «Ci aspettavamo qualcosa di più». Tra 90 giorni saranno depositate le motivazioni della sentenza.