MACERATA – «L’aborto è il più grande degli scempi; è più grave l’aborto o un atto di pedofilia?». Una frase che non è passata inosservata e che ha suscitato polemiche e indignazione, definita da qualcuno da Medioevo, subito stigmatizzata da Sinistra Italiana. A pronunciarla è stato don Andrea Leonesi, vicario del vescovo di Macerata Nazzareno Marconi, durante l’omelia dello scorso 27 ottobre presso la chiesa dell’Immacolata.
«Guardate, fratelli, possiamo dire tutto ma l’aborto è il più grave degli scempi. Mi verrebbe da dire una cosa ma poi scandalizzo mezzo mondo – ha detto il vicario del vescovo -. È più grave un aborto o un atto di pedofilia? Scusate, il problema di fondo è che siamo così impastati in una determinata mentalità… Con questo non voglio dire che l’atto di pedofilia non sia niente, è una cosa gravissima. Ma cosa è più grave?».
Qui il video dell’omelia da YouTube; dal minuto 3.50 le parole sull’aborto (dal minuto 12.58, invece, la frase «Le mogli siano sottomesse ai mariti»):
Il discorso di don Andrea Leonesi è iniziato da un apprezzamento sulla legge varata in Polonia che vieta (quasi totalmente) l’aborto; una frase, quella pronunciata dal vicario del vescovo del capoluogo, che ha suscitato non poche polemiche.
Sulla vicenda è intervenuto anche il vescovo Marconi. «Carissimi fratelli, perché per me sono fratelli tutti – ha dichiarato -. Io sono contro l’aborto, che non ritengo né un diritto né una conquista di civiltà, ma un fallimento sociale quando porta a considerare una vita umana come “un problema”. Ogni vita umana è invece una ricchezza per tutti, anche se può essere una sfida alla società, perché accogliere alcune vite richiede grande impegno da parte di tutti. Sono orgoglioso, quando vedo alcune persone stupende che oggi sono vive anche per l’impegno mio e di tanti altri, mobilitati nell’affrontare problemi economici, psicologici o di relazione che stavano spingendo le loro madri verso l’aborto».
«Con il linguaggio provocatorio del pensiero e della riflessione, tipico di una omelia, don Andrea ha messo in guardia da una mentalità oggi imperante che: ci fa guardare giustamente al dramma della pedofilia come ad una battaglia che tutti ci deve vedere coinvolti, ma non ci mobilita allo stesso modo per garantire a ogni donna il diritto a non abortire – ha continuato il vescovo Marconi -. Se l’aborto è l’unica scelta concretamente lasciata anche a una sola donna, perché tutta la società non ha fatto di tutto e di più per aiutarla, questa non è civiltà, ma barbarie. Questo soprattutto vale per chi si dichiara cristiano, anzi laico impegnato, come i giovani della FUCI a cui si rivolgeva don Andrea».
«Io sono per la famiglia e se possibile propongo a tutti la famiglia cristiana, che con un bel paradosso letterario san Paolo nella lettera agli Efesini descrive come una perenne gara nella mutua sottomissione. Il brano di Efesini, che descrive la bellezza della vita cristiana come vita di gioia e comunione rispetto alla vita dei pagani, obnubilati dal vizio e dalla voglia di dominare sugli altri, svela che il segreto di questa vita bella è proprio nel non voler dominare gli uni sugli altri, anzi nel sottomettersi nell’amore: “siate sottomessi gli uni agli altri” (Ef 5,21). E continua: le mogli sottomesse ai mariti come la Chiesa lo è a Cristo ed i mariti alle mogli, come Cristo che si è sottomesso alle esigenze di un amore infinito per la Chiesa – continua il vescovo di Macerata -. Consiglierei a certi critici la correttezza scientifica di criticare un atto linguistico com’è un’omelia, ben diversa da un comizio, conoscendo bene il genere letterario e i testi biblici ed ecclesiali a cui si fa riferimento. Chi era in chiesa, culturalmente ben preparato come lo sono i giovani della FUCI, ha ben capito le parole di don Andrea e non ha presentato nessuna critica. Già che ci sono, incoraggerei anche certi commentatori a studiare meglio il Medioevo. Oggi nessun docente universitario competente userebbe più la metafora del Medioevo come “epoca di oscurantismo” tipica di certa letteratura polemica del ’700. Non siamo più nel XVIII secolo» ha concluso il prelato.