Macerata

Pollenza, “La Brigata degli Unicorni”: «Una raccolta fondi per disabili e normodotati»

La presidente Capone: «Due ragazzi con sindrome di Down hanno preso parte come spettacolisti alla più importante Fiera ippica europea, ma non tutti immaginano il costo di formazione di un atleta: 15mila euro l’anno ciascuno»

Alcuni atleti impegnati nell'attività (foto per gentile concessione dell'Asd)

POLLENZA – Non è il classico Centro di ippoterapia, quelli della ˊBrigata degli Unicorniˊ sono «un po’ visionari». E se a dirlo è la stessa presidente, Loredana Capone, allora c’è da crederci. Anche perché i risultati di questa Asd, acronimo di associazione sportiva dilettantistica, parlano da soli.

Due ragazzi con sindrome di Down hanno preso parte come spettacolisti alla più importante Fiera ippica europea (la FieraCavalli Verona) per due anni consecutivi. Ed erano gli unici d’Europa. Come se non bastasse, si aggiuntano i due atleti – ormai agonisti – che vantano traguardi importanti in Nazionale ai Campionati di para raining. Il team sportivo, va detto, è composto da sette ragazzi con disabilità intellettiva e da sei normodotati, dai 14 ai 45 anni di età. Gare educative, partecipazioni ludiche e competizioni agonistiche di livello nazionale e internazionale di para raining, quelle per cui ci si allena a Pollenza, in provincia di Macerata.

Da sinistra, Alessia Lancellotti, la vicepresidente, e Loredana Capone, la presidente

Ma non tutti immaginano il costo di formazione di un atleta: 15mila euro l’anno ciascuno. Ecco il motivo per cui è partita una raccolta fondi su GoFundMe. «Ci sono spese ingenti per i cavalli, per l’addestramento e l’allenamento – spiega la presidente, Loredana Capone – In più, vi sono i costi per il personale specializzato, le spese per gli istruttori. I fondi sono necessari per le trasferte e gli stage tecnici dei nostri atleti speciali. Grazie alle attività della ˊBrigata degli Unicorniˊ, lo sport – prosegue lei – è un motore per diventare adulti insieme, imparando a seguire le regole, a rispettare il prossimo e soprattutto a fare da soli: l’autonomia, per i ragazzi con disabilità intellettiva, rappresenta il nostro traguardo più grande».

Presidente Capone, partiamo dall’inizio: com’è nata la ˊBrigataˊ?

«Era il 2017, mio fratello Stefano (oggi 46enne) va a cavallo da quando era piccolo, ha una disabilità intellettiva. E piano piano abbiamo scoperto che in sella era bravissimo. Così, abbiamo aperto l’Asd e un’azienda agricola sociale».

Stefano e il suo cavallo Falco (foto per gentile concessione dell’Asd)

La vostra associazione è aperta anche ai normodotati?

«Sì, per gareggiare serve avere più di 14 anni, ma al Centro possono venire anche i bimbi a partire dai 5 anni».

Sport è autonomia, in particolare per le persone con disabilità…

«I  ragazzi con disabilità intellettiva, quando escono dalla scuola, non sanno dove proseguire la loro vita, perché fino ai 22 anni si può rimanere a scuola, con tutte le varie problematiche del caso. Ma finita la scuola, per la famiglia, inizia una caccia al luogo in cui far proseguire la vita dei propri figli. In realtà, pur essendo abilitati a fare ippoterapia, abbiamo iniziato a pensarli come atleti. È partito tutto come un gioco. Ora, invece, sono via via autonomi, fanno persino i viaggi senza i genitori. E il team si è arricchito, nel tempo: oggi abbiamo sia ragazzi normodotati sia ragazzi con disabilità intellettiva, che a distanza di anni sono diventati professionisti. Insomma, dallo sport è scaturito un progetto professionale».

Cosa si fa, concretamente, nel maneggio?

Il maneggio (foto per gentile concessione dell’Asd)

«Un po’ di tutto: i ragazzi fanno sia attività tecnica di gara sia, durante le vacanze estive, danno una mano in scuderia, imparano a gestire il cavallo, a pulire i box. La cosa bella è che gli atleti – disabili o normodotati che siano – puliscono le scuderie e addestrano i cavalli che devono montare. Un sistema molto americano».

Un ranch?

«(ride, ndr) Ora, abbiamo pure i puledri. Forse, con questa mentalità, siamo gli unici d’Italia».

E le famiglie contribuiscono?

«Sì, ma per un 15% circa. Un atleta ci costa 15mila euro l’anno, viviamo di sponsor, progetti e raccolte fondi (come quella appena iniziata su GoFundMe). Per noi, la formazione di un atleta significa tecnica per gare e spettacoli. Però, non riusciamo a coprire tutte le spese. Avremmo bisogno di fare stage con persone più esperte, di dare ai ragazzi più formazione, più esperienze. E ovviamente non possiamo gravare sule famiglie. I nostri, poi, sono tutti cavalli di proprietà, il maneggio è costruito su misura degli atleti e va mantenuto. Anche se la struttura è piccola, i bisogni dei nostri  ragazzi crescono a livello esponenziale. Ogni cosa che fanno, li vedi brillare. E non vogliamo che si spengano».

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