PORTO RECANATI – Un documentario per Carlo Bartoli, morto su un traghetto a soli 19 anni, durante la pandemia da Covid. L’idea è di Nicolò Piccioni, 24 anni di Potenza Picena. Carlo Bartoli, prematuramente deceduto il 10 aprile 2020 per cause naturali, era uno degli amici del gruppo di Nicolò.
«Io, a dire il vero, ero tra gli ultimi arrivati e tutti mi hanno accolto a braccia aperte – ricorda Nicolò, studente della Rufa, Rome University of Fine Arts, con il sogno della regia – Ho conosciuto Carlo il 1° giugno 2019, quando la sua comitiva era già consolidata da anni. Abbiamo trascorso un’estate bellissima, ci sentivamo spesso».
Un gruppo di amici come tanti, fatto di serate spensierate, lacrime di gioia e purtroppo, da quel maledetto 10 aprile, anche di dolore. Un dolore che non può essere riempito. Che ti fa sputare sangue alla ricerca della risposta ad una domanda tanto cruda quanto ricorrente: «Cosa facciamo quando uno di noi muore?». E chissà quanto pagherebbe, quel manipolo di ragazzi, per riavere Carlo qui con loro: «Lui sarebbe qui a migliorare la vita di tutti, però non ci sta», si ascolta dal trailer.
Una birra in mano, qualche cicchetto, le camicie slacciate e le corse a piedi nudi sulla spiaggia di Porto Recanati, prima di una sosta al Cavatappo. E così lui – Carlo – è caduto giù, come canta Mango. Ma a farlo rivivere, per fortuna, ci sono i suoi amici di sempre, nonché i familiari che hanno partecipato alle riprese.
Per il documentario – dal titolo ˊLe cose cambianoˊ – il giovane regista Nicolò (24 anni) ha avviato una raccolta fondi su GoFundMe (clicca qui): «Al momento, il film è stato soltanto girato. È ambientato tra Porto Recanati e uno studio di Roma, ma anche in Portogallo – evidenzia Nicolò – La raccolta fondi, grazie alla quale ho racimolato 8mila euro servirà per gli acquisti dei diritti della canzone di Mango, ˊOroˊ. Poi, ci saranno anche le spese relative alla post–produzione» che saranno ingenti.
Nicolò confessa di conoscere poco Carlo rispetto agli altri amici: «Quel poco che però è bastato tanto. Il docufilm vuole essere una dedica non solo a Carlo, ma anche al mio gruppo di amici attuali con cui ho continuato a uscire dopo la morte di Carlo. Probabilmente, se adesso capitasse qualcosa di simile a loro, non sarei in grado di fare un documentario. Talvolta – riflette – mi sento in difetto con i miei amici per aver raccontato qualcosa che era più loro che mio», dice il ragazzo, riferendosi – chiaramente – al rapporto di amicizia che li legava. «Il messaggio da passare? Aiutare chi ha avuto un’esperienza simile e trasmettere la resilienza dell’essere umano. Non possiamo fermarci. Nemmeno di fronte alla morte».
Bartoli conviveva sin dall’infanzia con una massa tumorale che aveva in testa. E che, stando a quanto racconta l’amico, gli scatenava delle forti emicranie per cui era seguito all’Ospedale pediatrico Salesi di Ancona. I medici dell’Ospedaletto continuarono a curarlo anche in età adulta. Di quelle emicranie c’è traccia nei messaggi audio che il 19enne inviava nel gruppo Whatsapp che aveva coi suoi coetanei. Più fratelli che amici. È così l’amicizia vera: quando la incontri, ti travolge. Ed è (davvero) per sempre, nonostante tutto.
«Chi lo aveva in cura acconsentì al suo trasferimento in Spagna. Carlo, gli ultimi tempi, lavorava come aiuto cuoco a Valencia». È lì che accusò i soliti malori: «Sarebbe dovuto andare in ospedale, ma c’era il Covid e temeva di ammalarsi. Così, decise di tornare in Italia, ma le autorità non giudicarono il suo caso così grave da permettergli il trasferimento».
Allora, c’erano le zone gialle, rosse e arancioni: «Era un periodo storico molto brutto – commenta Nicolò – i voli non lo accettavano, alcuni bus vennero cancellati, così come i traghetti». L’unico traghetto che riuscì a prendere il giovane fu quello in cui, purtroppo, morì in cabina. Doveva andare da Barcellona a Genova, dove lo attendeva il padre. Ma Carlo, da papà Giancarlo, non arriverà mai.
Nella pellicola, che dura circa 90 minuti e che potrebbe uscire entro il prossimo febbraio, si rivivranno gli iconici momenti del Partyccio, una festa che il gruppo usava fare anche con Carlo e che, negli anni, è andata via via allargandosi. Un modo (anche) per ricordare quel 19enne pieno di allegria la cui vita venne stroncata troppo presto.