SAN SEVERINO – Al culmine di una discussione uccise la madre 84enne Maria Bianchi soffocandola, il figlio 57enne non è imputabile, assolto per vizio totale di mente al momento del fatto. Per l’uomo, Michele Quadraroli, i giudici della Corte d’Assise di Macerata presieduta dal giudice Roberto Evangelisti hanno disposto la misura di sicurezza in una Rems per una durata minima di 10 anni. A richiedere l’assoluzione per vizio totale di mente e la misura del ricovero in una Rems (Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza) era stato anche il pubblico ministero Vincenzo Carusi. Il difensore, l’avvocato Laura Antonelli ha invece insistito per il collocamento di Quadraroli in una Srp1 (Struttura residenziale psichiatrica per trattamenti terapeutico riabilitativi a carattere intensivo).
Il delitto risale al 27 novembre del 2022. Maria Bianchi e il figlio, affetto da un disturbo schizofrenico paranoide con deficit progressivo, vivevano in un appartamento che si trova sopra al bar che i due gestivano insieme. Quel pomeriggio, al culmine di una discussione, Quadraroli le salì addosso e la soffocò per poi accanirsi sul volto con un paio di forbici e, ormai morta, aveva provato a darle fuoco.
Dal momento che il reato contestato prevede la pena dell’ergastolo, nonostante sia emerso sin da subito che il 57enne non era capace né di intendere né di volere, per Quadraroli si è dovuto celebrare il processo ordinario in Corte d’Assise. Oggi sono stati sentiti i tre testimoni indicati dalla difesa, lo psichiatra Gianni Giuli che ha effettuato la perizia su Quadraroli, un cliente del bar gestito da Quadraroli e dalla mamma e la psichiatra Maria Liberti che aveva in cura il 57enne. Rispondendo alle domande dell’avvocato Antonelli, Giuli ha riferito come il sintomo acuto della schizofrenia paranoide è il delirio, «come è successo a Quadraroli, lui vede il diavolo quindi fa delle azioni inadeguate. Se si interrompe bruscamente la terapia – ha poi aggiunto –, nel giro di 4-6 giorni ricompaiono i deliri. Per questo tipo di pazienti si può utilizzare una terapia long acting che agisce a lungo termine, tramite una iniezione fatta ogni tre o quattro settimane a lento rilascio». In aula oggi è emerso che 5 giorni prima del delitto, il 22 novembre, Quadraroli andò all’ospedale di San Severino dopo aver ingerito una dose eccessiva di medicinali per il colesterolo, gli fu fatta una lavanda gastrica e fu dimesso.
La psichiatra Liberti ha riferito di avere in cura Quadraroli da circa cinque anni, «Non lo vedevo tutti i mesi – ha raccontato –, gli appuntamenti li concordavo con la mamma, prima veniva con lei poi da solo, ma ogni volta che lo visitavo o prima o dopo mi sentivo con la madre. Quando l’ho visto, circa 15 giorni prima dell’accaduto, era in discreto equilibrio. Ho insistito molte volte con lui e con la madre perchè rimanesse agganciato alla Asl, ma la madre mi rispondeva “Michele non ci vuole andare, non si trova bene con la Asl”. Nei 4/5 anni che l’ho seguito non ci sono mai stati momenti di intensità tali da fare un Tso».
La psichiatra ha poi parlato del 57enne: «Mi chiedeva di diminuire le medicine come fanno tutti i pazienti psichiatrici. Mi diceva “Dottoressa non togliamo niente?”, “No Michele non togliamo niente perché stai bene quindi andiamo avanti così”. Michele sperava anche di farsi una famiglia, di poter continuare l’attività della madre. Mi diceva che la madre era 80enne e non ce la faceva più, mi diceva “Io vorrei essere libero di poter fare una vita normale”».
Soffermandosi sul rapporto tra madre e figlio ha invece spiegato: «La madre aveva l’atteggiamento di una madre ultraottantenne che aveva un figlio di quell’età che doveva gestire, accudire e lo trattava come un bambino piccolo. C’era un rapporto molto intenso tra di loro ma patologico per questa cosa, c’era dell’affetto grandissimo da entrambe le parti, Michele si preoccupava che la madre lavorasse troppo anche a quella età».
Il giorno del delitto fu la psichiatra a chiamare il 112 per andare a controllare se nell’abitazione di Maria Bianchi e del figlio fosse tutto a posto. Sollecitata dal pubblico ministero a riferire sul motivo di quella preoccupazione Liberti ha spiegato di essere stata contattata la sera del 26 novembre dalla mamma di Quadraroli: «Mi diceva che il figlio non voleva assumere la terapia. Era particolarmente petulante, piagnucolosa, ripetitiva. Michele mi disse che non era vero, gli ho detto che ci saremmo sentiti il giorno dopo, nel frattempo la mamma mi aveva confermato che Michele aveva assunto la terapia. Il 27 verso le 11 la mamma mi aveva chiamata ma stavo facendo delle visite domiciliari e mi sono accorta della chiamata solo dopo. L’ho richiamata alle 13 e mi disse che il figlio non voleva prendere la terapia, lui rispondeva “No, non è vero”, la madre gli diceva “Sei un bugiardo, dì la verità alla dottoressa, non vuoi prendere la terapia”, mi sono fatta passare Michele e poi ho sentito la mamma dire “Oddio mi hai fatto male”, ho chiesto cos’era successo e lei mi rispose “Niente per togliermi il telefono dalle mani mi ha fatto male al naso”. Ho detto a Quadraroli di riprendere la terapia. Mi sono preoccupata, avevo capito che Michele non prendeva i farmaci, forse da giorni, la madre era giustamente petulante e insistente. Per telefono aveva ripetuto che il figlio era un bugiardo, forse Michele si era risentito di questa cosa, ho pensato che magari ci sarebbe potuto essere un bisticcio e ho chiamato il 112 e il 118. Volevo che qualcuno andasse a verificare questa situazione potenzialmente spiacevole, ma non c’erano elementi per pensare che potesse succedere quello che poi è successo».
Chiusa l’istruttoria, il pm Carusi ha concluso: «Non c’è dubbio che sia stato lui a uccidere la madre e a tentare di sopprimere il cadavere. I carabinieri trovarono Quadraroli sporco di sangue, trovarono sangue dappertutto, uno spettacolo orripilante. Se sia vero o no che la sua reazione sia scaturita da una lite con la madre per il cane non lo sappiamo, oggi abbiamo sentito che Quadraroli era già abbastanza nervoso perché la madre gli aveva dato del bugiardo al telefono con la dottoressa perché non voleva assumere i farmaci. Ora – ha puntualizzato il sostituto procuratore – il nodo cruciale in questo processo è cosa fare a Quadraroli, non può essere condannato perché totalmente incapace di intendere e di volere al momento del fatto, c’è da capire quale misura di sicurezza applicare e se applicarla. Se non assume farmaci è socialmente pericoloso, nel nostro ordinamento l’unica misura di sicurezza esistente è la Rems sperando che ce ne sia una sul territorio nazionale che finalmente gli apra le porte, dal momento che c’è una Rems applicata in via provvisoria ma di fatto lui è ancora ricoverato in un’altra struttura diversa da quella prevista dal codice perché nessuna Rems ha posto per ospitarlo».
In un’appassionata arringa l’avvocato Antonelli ha parlato del “vero mostro” nel delitto, che non è l’imputato ma la malattia che lo affligge: «Si chiama disturbo schizofrenico tipo paranoide con deficit progressivo – ha puntualizzato –. Gli fa vedere delle cose che non esistono ma gliele fa vedere in maniera così realistica che tutto sembra vero. E poi lo costringe a fare cose brutte, feroci. Quel mostro ha ucciso una persona per mano di un’altra che ora ne paga le conseguenze». A giugno del 2023 Quadraroli è stato scarcerato e, in attesa di una Rems che abbia un posto disponibile, è stato ricoverato in una clinica specializzata psichiatrica dove si trova tutt’ora.
Il legale ha concluso chiedendo che Quadraroli venisse posto in una struttura che abbia come scopo prevalente la cura, la riabilitazione personale, la risocializzazione e «quindi possa garantire il diritto alla salute come diritto prevalente su qualsiasi altra esigenza».