Macerata

Scuola e Dad, i nuovi metodi didattici in presenza e all’aperto

Dopo il caso di Giampiero Monaca, il maestro che digiuna per salvare la scuola, abbiamo intervistato la professoressa Paola Nicolini dell’Università di Macerata per fare il punto della situazione sui metodi didattici innovativi

Ha scelto lo sciopero della fame il maestro Giampiero Monaca di Asti come strumento di protesta dopo lo stop a “Bimbi Svegli”, il progetto educativo che ha ottenuto il plauso dell’ex ministra Azzolina e dell’onorevole Federico Fornaro, capogruppo LeU alla Camera, e sostenuto dagli stessi genitori interessati al percorso di istruzione dei loro bambini. Una notizia che ha riacceso i riflettori sul difficile rapporto tra scuola tradizionale e approcci didattici innovativi a poche settimane dalla riapertura di metà settembre. Riapertura che deve fare i conti con l’emergenza covid e il malcontento generato dallo spettro della didattica a distanza, dalla gestione dei trasporti pubblici, dalla campagna vaccinale e dall’obbligo del Green pass

La protesta di Giampiero Monaca ha travalicato i confini regionali e messo in fibrillazione anche l’ambiente scolastico marchigiano dove l’approccio “Bimbi Svegli” è apprezzato in maniera trasversale, dalla scuola primaria fino agli ambienti accademici. Abbiamo incontrato la professoressa Paola Nicolini dell’Università di Macerata, Docente di Psicologia dello sviluppo e Psicologia dell’educazione e autrice di prestigiose pubblicazioni per fare il punto della situazione, nella nostra regione, sugli approcci didattici innovativi e il loro rapporto con le famiglie e le istituzioni.

Il maestro Giampiero Monaca attualmente in sciopero della fame per difendere il progetto didattico “Bimbi Svegli”.

Professoressa Nicolini, lei conosce Giampiero Monaca e il progetto ‘Bimbi Svegli’?
«Conosco il maestro e l’esperienza che Bimbi Svegli ha realizzato lo scorso anno come green campus, in quanto abbiamo svolto una ricerca in collaborazione, con l’intento di capire l’impatto delle attività sulla rappresentazione della propria identità da parte dei bambini e delle bambine che hanno partecipato. La documentazione raccolta è stata pubblicata nel libro gratuito L’educazione è fuori».

Come è possibile che nel 2021 un maestro si trovi costretto a fare lo sciopero della fame per difendere un progetto educativo sostenuto da ministri e dalle stesse famiglie interessate direttamente nel percorso di istruzione dei loro bambini?
«La scuola è un elemento centrale nella nostra cultura, sebbene spesso marginalizzata da politiche di tagli e riorganizzazioni al ribasso. È un coacervo di visioni psico-pedagogiche spesso discordanti: da un lato dell’appesantimento di modelli organizzativi tradizionali, difficili da modificare, sebbene ormai per lo più obsoleti, perché le interazioni di tipo trasmissivo sono da tempo considerate inefficaci e l’insegnamento frontale, astratto, a tavolino si scontra già da un po’ con le attività in rete e di rete. Dall’altro, la crescita degli scontri tra scuola e famiglia ha fatto sì che si siano sviluppate politiche scolastiche di tipo difensivo, in analogia a quanto avvenuto in medicina, con lo sviluppo di pratiche con le quali il medico difende se stesso contro eventuali azioni di responsabilità medico-legali seguenti alle cure mediche prestate. Gli insegnanti spesso abbandonano il loro diritto alla libertà di insegnamento per evitare contrasti e possibili recriminazioni, ponendosi in modo tradizionale e “quieto” per evitare problemi».

Paola Nicolini dell’Università di Macerata, docente di Psicologia dello sviluppo e Psicologia dell’educazione

Ma oggi più che mai, in questo periodo di emergenza Covid, non sarebbe più che opportuno applicare approcci che portano le lezioni fuori dalla scuola, all’aria aperta, dove magari non servono mascherine, distanziamento e Dad?
«È una domanda quasi retorica, oserei dire. Certo che sì, e non solo per via della pandemia, ma sulla base di numerosi studi e buone pratiche ispirate a teorie ormai consolidate dai risultati nel tempo ottenuti e tutti rispondono anche alle necessità di distanziamento fisico. Sono modelli che si rifanno a pilastri di grande spessore, frutto di pensatori e pensatrici dell’educazione quali Maria Montessori, Mario Lodi, Lorenzo Milani, Loris Malaguzzi, Howard Gardner, Jerome Bruner, solo per citarne alcuni. Parliamo di agri-nido e agri-infanzia, delle piccole scuole di montagna, di scuole nel bosco, di orti scolastici, di scuole in natura, di scuole fuori dalle mura scolastiche, di educazione diffusa e anche di Bimbi Svegli. Pensare che l’apprendimento possa avvenire stando per ore seduti a un banco ad ascoltare un insegnante che parla, è stata comunque una pia illusione, perché non c’è apprendimento significativo senza esperienza, non si educa al comprendere senza la fisicità del corpo».

Ci sono nelle Marche progetti innovativi che si differenziano da ciò che la scuola pubblica propone?
«Vorrei dire che ci sono progetti innovativi che la scuola pubblica propone, in continuità con esperienze presenti nello stesso territorio, che da anni fanno educazione in natura. Mi riferisco a quanto sta avvenendo presso l’Istituto Comprensivo “Vincenzo Tortoreto”, a San Ginesio, e che come Università stiamo documentando. La presenza di alcuni bambini e bambine che hanno frequentato l’agri-nido e agrinfanzia “La quercia della memoria” ha spinto alcune insegnanti a progettare l’indirizzo scolastico della Scuola Primaria “F.D.Costantini” basandosi sull’outdoor education. Insegnanti e dirigente hanno programmato un ciclo di seminari di formazione con la coordinatrice dell’agri-nido/agri-infanzia, Dott.ssa Federica Di Luca, e hanno poi richiesto la collaborazione con l’Università di Macerata per la documentazione della trasformazione e dei risultati ai quali essa può condurre. Per gli sviluppi futuri della progettazione dell’indirizzo di outdoor education si intende progettare attività che permettano alla scuola di avere degli animali e includere continuativamente le realtà territoriali presenti. Rigorosamente all’aperto».

Da dove arrivano le maggiori difficoltà? E il ruolo dei genitori?
«E se piove? E se c’è vento? E se non c’è il pulmino? E se…
Se da un lato abbiamo i modelli, dall’altro per poterli praticare manca un pezzo essenziale, sul quale lavorare velocemente per chiudere il cerchio, vale a dire la revisione del patto formativo di corresponsabilità tra scuola e famiglie. Ci siamo messi all’angolo da soli, negli ultimi anni, incartandoci e avviluppandoci con i lacci e i lacciuoli della sicurezza, della responsabilità, delle reciproche accuse e diffidenze. Su questi aspetti legati alla collaborazione educativa della comunità degli adulti è urgente rimettere mano al più presto. L’iperprotezione delle nuove generazioni di genitori verso i propri figli e figlie ha già causato molti danni, a scapito dello sviluppo della loro autonomia e capacità di autoregolazione».  

Fra qualche settimana riapriranno le scuole e il dibattito politico gravita esclusivamente intorno ai vaccini, lo trova giusto?
«Il tema dei vaccini è delicato, soprattutto per la fascia di età della scuola dell’obbligo. La prudenza e la riflessione seria e consapevole deve guidare gli adulti e i responsabili a tutti i livelli, in questa fase. Non può esserci un semplicistico aut aut, come hanno già indicato Sara Gandini (epidemiologa e biostatista) e Daniele Novara (pedagogista) in un articolo su Avvenire di qualche giorno fa, che in chiusura dichiarano: “La scuola in presenza preserva la salute dei giovani e il futuro del Paese, forse anche più del vaccino”. Ed è su questo che bisogna darsi da fare e in fretta».

Quali saranno le saranno conseguenze psicologiche in questa generazione di studenti costretti a vivere la loro esperienza scolastica tra restrizioni, divieti, Dad, mascherine e disinfettanti?
«Come psicologi e psicoterapeuti sapevamo che la pandemia non avrebbe lasciato traccia di sé solo sulla salute fisicamente intesa e da subito abbiamo mostrato preoccupazione per gli effetti sulla salute psicologicamente intesa. Di fatto questi sono già palesi a chi si occupa del benessere mentale, sia sui bambini e le bambine, sia sugli adolescenti e gli adulti. Bambini e bambine mostrano segnali di ansia con molti risvegli notturni e regressioni a comportamenti che avevano già superato nel corso della loro evoluzione sul piano affettivo e sociale. Molti adolescenti mostrano una tendenza al ritiro sociale e tra gli adulti frequenti sono i casi di violenza sulle donne, aggressività, comportamenti anti-sociali, depressione e slatentizzazione con eventi psicotici. La DAD sembra abbia avuto effetti disastrosi sugli apprendimenti, ma questa è la misura che arriva dalle prove INVALSI e su queste sarebbe da fare un lungo discorso, in senso critico».

Cosa potrebbe fare nel breve periodo la Regione Marche per migliorare la situazione?
«Finanziare progetti di sostegno alle famiglie, sostenere attività dedicate alla fascia di età più scoperta, che va tra i 16 e i 25 anni, supportare gli enti locali per progettazioni funzionali a mantenere aperti servizi dedicati alle fasce più fragili della popolazione, drasticamente ridotti se non proprio sospesi dallo scorso marzo».

© riproduzione riservata