Macerata

Treia, «Utente positivo nel nostro centro ma nessuno ci ha avvertito»: la denuncia di Di Bolina

«Abbiamo di nuovo effettuato mercoledì 25 novembre un tampone di controllo di cui ancora non conosciamo gli esiti» spiega il presidente della cooperativa Cioci

TREIA – La chiamata sarebbe dovuta arrivare dall’Asur competente ma quella chiamata non è stata mai fatta. A denunciare quanto accaduto nel centro socio-educativo riabilitativo di Santa Maria in Selva di Treia, gestito dalla cooperativa sociale “Di Bolina”, è il presidente della cooperativa Matteo Cioci.

Il centro Di Bolina a Santa Maria in Selva a Treia

«Non siamo soliti lamentarci, tantomeno in questo momento in cui è necessario per tutti stringere i denti e cercare di andare avanti nel miglior modo possibile. Siamo altrettanto consapevoli, facendo e avendo scelto ciò che facciamo, della complessità di lavorare all’interno di un centro diurno per disabili e di affrontare la pandemia al suo interno – spiega il presidente Cioci -. Il centro socio-educativo riabilitativo di Santa Maria in Selva di Treia, gestito dalla cooperativa sociale “Di Bolina”, accoglie quotidianamente 26 utenti da tutta la provincia e ha un’equipe composta da 11 operatori e 1 coordinatore: 37 persone circa quotidianamente».

«Dal 17 giugno, giorno della riapertura dopo il lockdown, abbiamo effettuato mensilmente i tamponi naso-faringei, come prescritto dal protocollo, a operatori e utenti nonostante l’invasività dell’esame (specialmente per alcuni dei nostri) – ha proseguito il dottor Cioci -. Il 10 novembre abbiamo effettuato lo screening. Il 13 novembre, i campioni erano stati tutti esaminati. Le indicazioni ricevute dall’ufficio competente dell’Asur e dalle infermiere che hanno effettuato i tamponi erano sempre le stesse: ognuno contatti il proprio medico di base per i risultati, ma se nessuno vi contatta entro 48 ore potete tranquillamente considerare il tampone negativo. Ufficio competente e infermiere, ci teniamo a precisarlo, sempre molto attente, scrupolose e gentili nell’organizzare e nell’affrontare questo delicato compito. Alcuni medici di base hanno evidenziato sistematicamente la difficoltà di accedere ai risultati ma noi abbiamo sempre confidato nella tutela da parte dell’Asur e nella circolarità delle informazioni».

«Il 23 novembre, 13 giorni dopo il tampone e dieci dopo l’esito dello stesso, uno dei medici di base, che ha in carico un utente, si reca a casa del soggetto dicendo ai familiari che l’indomani si sarebbero dovuti recare al drive per effettuare un nuovo tampone, dichiarando di non sapere altro – continua il presidente della cooperativa -. La famiglia, allarmata, ci contatta chiedendoci spiegazioni. Un’operatrice richiama a quel punto il medico di base: il tampone del 10 novembre risultava positivo. Dopo la comunicazione del medico di base, nessuno ci ha chiamato, anzi, siamo stati noi a chiamare direttamente l’Asur per chiedere conferma della positività: un rovesciamento di ruoli, di competenze e di responsabilità (dettato dall’urgenza e dalla gravità della situazione) che ci ha lasciato (e ci lascia ancora) basiti».

«L’utente, asintomatico, si è recato in struttura regolarmente fino al 23 novembre e ha svolto quotidianamente le attività proposte con quanto previsto dal rigidissimo protocollo concordato dall’Asur; ma una delle criticità maggiori è che i soggetti con disabilità non indossano sistematicamente o in maniera corretta continuativamente la mascherina – osserva il presidente Cioci -. Questo avviene secondo le disposizioni vigenti: le persone con disabilità sono esentate dall’uso delle mascherine come i bambini al di sotto di 6 anni. Per 10/13 giorni un utente positivo, seppur asintomatico, si è recato in struttura, senza che nessuno abbia avvertito i familiari o i responsabili del centro socio educativo e senza che gli Uffici competenti abbiano avviato le procedure di tutela. A chi scrive questo sembra inammissibile e di una gravità enorme. Possiamo comprendere il carico sugli operatori sanitari che la situazione epidemiologica di inizio novembre aveva ma ci sentiamo traditi da chi avrebbe dovuto tutelarci. Questa “svista”(?) mette a repentaglio direttamente 37 persone, di cui 26 fragili e a rischio e tutti i loro familiari, molti dei quali “fragili e a rischio” per età. Non possiamo nemmeno immaginare la difficoltà di gestire uno dei nostri ragazzi in isolamento a casa».

«Avevamo messo in conto che, dato l’indice di contagio, avremmo potuto avere un riscontro di uno o più positivi nello screening di novembre ma in virtù delle indicazioni ricevute eravamo tranquilli e abbiamo rassicurato più di un genitore sulla “sicurezza” della nostra struttura e, ci teniamo a precisarlo, anche sui comportamenti virtuosi a livello professionale, ma anche personale, degli operatori della struttura, che consapevoli del servizio delicato nel quale lavorano, sono molto prudenti anche fuori dal loro orario di lavoro – aggiunge il presidente della cooperativa -. Comprendiamo anche la possibilità di un errore umano o di una casualità ma avremmo preferito che una provetta andasse perduta anziché sapere che qualcuno è venuto a conoscenza della positività di un tampone e non ha avvertito immediatamente familiari e responsabili di un centro diurno per disabili».

«Abbiamo rieffettuato mercoledì 25 novembre un tampone di controllo di cui ancora non conosciamo gli esiti (sperando che i protocolli abbiano funzionato) – conclude il dottor Cioci -. Non siamo stati messi in quarantena, siamo in autoisolamento, ma potremmo tranquillamente uscire e continuare la vita di tutti i giorni rischiando ulteriori contagi; inoltre abbiamo chiuso di nostra volontà il centro con tutte le conseguenze e i disagi che ciò comporta per i ragazzi e le loro famiglie e per noi (senza considerare i costi). Quello che ci addolora maggiormente è il fatto che alcuni genitori stiano seriamente pensando di tenere a casa, al sicuro, i nostri ragazzi, essendo venuto meno l’elemento di protezione e tutela principale che abbiamo a disposizione. Non possiamo di certo biasimarli per questo».