OSIMO – «Nel ruolo di consigliere di parità provinciali e regionali, nell’ambito delle proprie funzioni di pubblici ufficiali preposte al contrasto di ogni forma di discriminazione di genere, chiediamo l’immediata rimozione della discriminazione di genere operata all’interno dell’evento sportivo che prevede premi minori e una più corta graduatoria per le partecipanti di sesso femminile. Tale situazione, oltre a rendere visibile una ancora troppo diffusa e nemmeno malcelata mancanza di rispetto per il genere femminile, è in aperta violazione di normative in tema di pari opportunità e parità di genere tuttora vigenti nel nostro paese». Ad affermarlo Patrizia David, consigliera di Parità della Regione, e Pina Ferraro Fazio, consigliera di Parità della Provincia. Il montepremi per i vincitori della corsa che differisce tra uomini e donne, a vantaggio dei primi, è diventato un “casus belli” tra associazioni, campioni sportivi ed enti.
La quinta gara nazionale di corsa campestre, valida come prova di selezione per i campionati europei di cross, sarà disputata domenica 26 novembre al campo di atletica leggera alla Vescovara di Osimo, patrocinata da Regione, Provincia, Coni, comitato regionale della federazione italiana di atletica leggera e Panathlon club di Osimo. Dieci i chilometri da percorrere per i maschi e sette per le femmine.
Il caso è rimbalzato anche in tv a “La vita in diretta” su Rai Uno dove se n’è parlato en passant ieri, 6 novembre, nell’ambito del dibattito “Uomini e donne: stesso lavoro ma stipendi diversi”. Alcune associazioni tra cui “Se non ora quando” hanno informato i politici locali e non solo, tanto che la notizia è arrivata anche a Flavia Perina, ex membro della Camera dei Deputati e giornalista, che ha riportato il caso sulla sua bacheca Facebook. L’organizzazione per ora non si pronuncia.
Le due consigliere proseguono e segnalano anche un’altra discriminazione, operata verso i non cittadini italiani: «Nel caso di vittoria o buoni piazzamenti non godrebbero degli stessi premi previsti per gli uomini “italiani”. Ovvio quindi che una così manifesta poca attenzione alle normative e alle regole di un paese democratico e civile, rende alquanto difficile accettare il regolamento di una gara sportiva che disconosce il valore stesso che universalmente viene attribuito alla competizione sportiva dilettantistica, simbolo di parità e uguaglianza tra le persone e i popoli – continuano -. Doveroso segnalare anche, a quanti hanno fornito patrocini e supporto, che con tale gesto hanno contribuito a rafforzare il concetto di minimizzazione di quei “piccoli” gesti molto pericolosi di cui si nutre la più pericolosa deriva discriminatoria. Appare anche il caso di rilevare che le scriventi hanno ricevuto varie segnalazioni rispetto a tale situazione, in cui è stato richiesto un deciso intervento. Con la risoluzione su “donne e sport” approvata dal Parlamento europeo nel 2003 poi, si dichiara che “lo sport femminile è l’espressione del diritto alla parità e alla libertà di tutte le donne di disporre del proprio corpo e di occupare lo spazio pubblico, a prescindere dalla cittadinanza, dall’età, dalla menomazione fisica, dall’orientamento sessuale, dalla religione”. La stessa risoluzione sollecita gli Stati membri e il mondo sportivo a “sopprimere la distinzione tra pratiche maschili e femminili nelle procedure di riconoscimento delle discipline di alto livello”».