ANCONA – «Vuole pensare lei al funerale?». È la domanda che si è sentita rivolgere una giovane donna marchigiana dopo aver scelto di sottoporsi ad una interruzione volontaria di gravidanza, tramite aborto farmacologico, alle prime settimane. Una domanda rivolta a bruciapelo che è arrivata inattesa come un pugno nello stomaco, lasciandola sconvolta tanto da spingerla a rivolgersi all’associazione Pro-Choice, la rete italiana che si occupa di contraccezione e aborto che ha “denunciato” il caso.
Solo 3 gli ospedali nelle Marche dove viene somministrata la pillola abortiva Ru486: Urbino, Senigallia e San Benedetto del Tronto ed è proprio ad Urbino che nel corso di una visita le è stata rivolta la domanda choc.
«È stata una cattiveria detta con l’unico scopo di colpevolizzare la donna, perché anche a livello giuridico si tratta di una richiesta che non ha senso a poche settimane di gravidanza» afferma Marina Toschi, ginecologa dell’Aied di Ascoli Piceno e attiva nella difesa dei diritti delle donne sul fronte della contraccezione e dell’aborto.
Marina Toschi fa chiarezza anche sulla differenza tra il caso del “Giardino degli Angeli” scoperto a Roma. Spiega infatti che: «Qui sono stati seppelliti feti senza il consenso delle madri, dopo l’interruzione volontaria di gravidanza terapeutica, eseguita dopo i 90 giorni di gestazione per malformazione del feto o se la gravidanza mette a rischio la vita della donna. Casi in cui si verifica una sorta di “piccolo parto” trattandosi appunto di feto». Nel caso invece dell’aborto farmacologico «parliamo di embrione, che può essere considerato materiale organico non formato», dice Toschi.
«Nelle Marche – spiega – l’interruzione volontaria di gravidanza con metodo farmacologico avviene solo fino a 7 settimane perché la Giunta attuale non ha recepito le linee di indirizzo ministeriali che ampliano a 9 settimane l’arco temporale in cui può essere eseguita». Una regione, le Marche, che arretra su questo fronte «anche peggio dell’Umbria che non lo permette nei Consultori ma almeno ha recepito le Linee di indirizzo per la RU fino alle 9 settimane».
«Da sempre, anche da parte della Giunta precedente, l’aborto farmacologico è un tema che non è stato mai seguito con la dovuta attenzione: anche se deve essere garantita la libertà di scelta, tra interruzione volontaria farmacologica e chirurgica, nel resto del mondo si sta andando sempre di più verso l’aborto farmacologico per telemedicina, che consente tempi rapidi e di tutelare il corpo della donna anche in vista della vita riproduttiva femminile futura, perché si tratta di una procedura non invasiva che non causa danni».
La ginecologa fa notare che culturalmente anche nelle Marche «c’è una forte resistenza all’idea che così l’interruzione di gravidanza possa essere svolta più facilmente», oltretutto evidenzia che si tratta di una procedura che «semplifica il lavoro nelle strutture ospedaliere, specie in periodo Covid, libera le sale operatorie richiedendo solo un minimo di organizzazione, riducendo di un terzo i costi per il Servizio Sanitario Regionale».
Uno «stigma culturale e politico» quello che si è abbattuto sulla pratica di interruzione volontaria di gravidanza con metodo farmacologico che vede «le amministrazioni di destra contrastare questa moderna procedura medica per paura che questo semplifichi il ricorso all’aborto. Perché invece non rendere nelle Marche gratuita e più facile la contraccezione, come chiede l’articolo 2 della legge 194 e come avviene nelle altre Regioni?».
COSA PREVEDE LA NORMATIVA REGIONALE
Nel novembre del 2015 nelle Marche venne approvata all’unanimità una delibera per modificare la normativa esistente sulle attività funebri e cimiteriali, con particolare riferimento alla possibilità, offerta a chi ne avesse interesse, alla inumazione e tumulazione dei feti e prodotti abortivi. Nella delibera non è specificata però l’età gestazionale del prodotto abortivo.
Il provvedimento varato prevedeva la «possibilità di richiedere, nei limiti e con le modalità previste dalla normativa statale e regionale, la sepoltura del feto o del prodotto abortivo e sulle disposizioni applicate in mancanza di tale richiesta. L’opuscolo, unitamente alla richiesta di consenso formale, è consegnato ai genitori, ai parenti o a chi per essi, al momento del ricovero presso la struttura sanitaria», si legge nella Delibera.
Nel testo si legge anche che «per la sepoltura al cimitero non è obbligatorio indicare sull’eventuale lapide il cognome di uno o di entrambi i genitori ma è possibile anche usare un nome di fantasia a cui, nella relativa sezione del registro cimiteriale, corrisponderà l’effettiva appartenenza anagrafica del prodotto del concepimento».