ANCONA – Farmaci già noti ed impiegati nella pratica clinica per la loro azione antitumorale, broncodilatativa, chemiopreventiva e antipertensivia possono essere in grado contrastare i meccanismi cellulari e molecolari alla base dell’infezione da covid-19 e la progressione della malattia. È quanto ha scoperto uno studio dell’Università degli Studi di Urbino, realizzato in collaborazione con Enea e con l’università di Singapore.
Una ricerca di grande importanza che apre la strada non solo all’impiego di di farmaci già esistenti nel trattamento del covid-19, ma anche «allo sviluppo di nuovi farmaci in grado di interferire coi meccanismi molecolari alla base dell’infezione» spiega Maria Cristina Albertini, ricercatrice e docente di patologia generale dell’ateneo urbinate, che, insieme ad altri docenti e ricercatori dell’università (Piero Sestili, Daniele Fraternale, Marco Bruno Luigi Rocchi e Sofia Coppari), ha partecipato allo studio con Seeram Ramakrishna della National University of Singapore, uno tra i più quotati ricercatori a livello mondiale.
La ricerca, che si è sviluppata durante il periodo del lockdown, ha identificato per prima la proteina Hdac (Istone Deacetilasi), una tra le più importanti molecole che regola l’espressione genica, quale bersaglio terapeutico per contrastare il virus. Un risultato «dal notevole impatto clinico» spiega la professoressa Albertini, dal momento che, essendoci «un discreto numero di farmaci e anche composti bioattivi di origine naturale come la quercetina, un flavonoide presente in alcuni alimenti, con comprovata attività Hdac inibitrice, attualmente utilizzati per altre patologie», potranno essere «integrati per contrastare la malattia».
Questo, come evidenzia la ricercatrice urbinate, «è importante perché evita di dover aspettare mesi, come avviene nei trial clinici per i nuovi farmaci». Inoltre spiega che l’attività della proteina individuata dallo studio «è al centro di tutti i meccanismi in cui sono coinvolte le terapie attualmente utilizzate» come ad esempio gli antinfiammatori, antivirali, antistaminici, farmaci che bloccano la proteina Ace 2. Una via che spiana la strada al virus, la proteina Hdac che ora grazie all’individuazione potrà essere sbarrata utilizzando i farmaci giusti, che sono «già pronti all’uso» e che consentirà quindi di tagliare i tempi.
«In questo momento in cui abbiamo tante persone che muoiono per il covid e le terapie sono disomogenee – spiega la professoressa Albertini – avere indicazioni su farmaci già disponibili è essenziale per la crisi che stiamo vivendo». I risultati sono stati validati dal confronto con i dati clinici di uno studio cinese su 1.096 pazienti di Covid-19, che aprono la strada a nuovi studi nel settore del “drug repurposing” e “drug-discovery”.
La ricerca, realizzata con il ‘Big Data approach’, cioè utilizzando piattaforme computazionali che raccolgono una grande mole di informazioni, è stata pubblicata sulla piattaforma internazionale ‘Research Square’ e accettata dalla rivista internazionale peer-reviewed ‘Frontiers in Pharmacology’. Il lavoro è stato ispirato al ‘repurposing’, ossia riqualificazione – tra le linee guida raccomandate dalla Commissione Europea – e prende in considerazione farmaci già in uso, approvati sia dall’European Medicines Agency (EMA) che dalla Food and Drug Adminstration (FDA).