Una scolaresca in carcere a Fossombrone, in un carcere di alta sicurezza, per capire come si può cambiare nel periodo di reclusione attraverso il lavoro e lo studio.
L’iniziativa parte dalla procura generale della Repubblica presso la corte di appello di Ancona e dal procuratore generale della Repubblica, Roberto Rossi, insieme alla direzione scolastica regionale delle Marche e alla direzione della casa di reclusione di Fossombrone, ma anche insieme all’Istituto tecnico Mattei di Urbino che il prossimo 3 maggio porterà a visitare il carcere due classi quinte.
«Un’iniziativa per diffondere la cultura della legalità – ha sottolineato il procuratore generale Roberto Rossi –. Tra l’altro la direttrice della casa circondariale e la comandante della polizia penitenziaria sono, appunto, due donne e in carcere hanno realizzato tante iniziative lodevoli a sostegno del recupero dei detenuti e questo vorrei far vedere ai ragazzi: come è possibile e in modo straordinario riuscire a recuperare detenuti attraverso il lavoro e lo studio, c’è da rimanere colpiti. C’è chi si laurea, c’è un laboratorio artigiano di falegnameria, un pittore di icone straordinario, un artigiano che confeziona borse, il tutto con un’etica del lavoro che spesso non si trova fuori dal carcere. Non tutti sono recuperabili ma moltissimi sì. Alla fine di questo percorso in una piccola aula adibita a teatro ci sarà l’incontro degli studenti con alcuni detenuti».
Il procuratore generale Roberto Rossi ha parlato anche e in generale della situazione degli istituti di pena: «La situazione è spesso difficile, perché scontano carenze strutturali che superano il livello delle croniche carenze, già questo rende difficile le iniziative volte al recupero, c’è sovraffollamento, ci sono strutture non adeguate, che influiscono non solo sul benessere dei detenuti ma anche su quello della polizia penitenziaria, situazioni che rendono impossibile attivare modalità di recupero, corsi, lezioni, laboratori. Il lavoro e lo studio sono un modo di dare una concreta prospettiva ai detenuti. Se gli togliamo prospettiva e speranza la detenzione diventa abbrutente e questo non favorisce la vita all’interno degli istituti di pena, il rapporto tra i detenuti, con la polizia penitenziaria, e la situazione di disagio si moltiplica. La pena dovrebbe essere la privazione della libertà, non il disagio estremo. E a questo se ne aggiunge un altro, cioè il problema di detenuti con problemi e patologie psichiche che spesso vengono gestiti dal circuito ordinario che non ha strumenti per farlo. Anche questo talvolta è causa di disagi e suicidi. È un mondo in cui si investe poco. Investire nelle carceri significa, invece, investire nel recupero di detenuti, investire nella possibilità di avere cittadini invece che criminali. L’errore è pensare che con la condanna la questione sia finita. La questione invece si apre in quel momento: è proprio nelle carceri che si combatte e si vince o si perde la battaglia per la legalità».