«Parlare di gentilezza oggi e celebrare questa ricorrenza in un clima culturale internazionale segnato da violenze e da guerre, e da episodi come quello accaduto nei giorni scorsi a Napoli dove adolescenti armati hanno tolto la vita a loro coetanei, sembra stridere rispetto alla realtà che osserviamo». È la riflessione del professor Mauro Mario Coppa, docente di Teorie e metodi di valutazione scolastica e Psicologia cognitiva nella prima infanzia all’Università degli Studi di Urbino, Dipartimento di Studi Umanistici, nella Giornata Mondiale della Gentilezza che si ricorre oggi.
«La gentilezza è un termine che sembra ormai desueto – osserva -, oggi predomina un sentimento di sopraffazione». Secondo l’esperto, occorre «investire sulle risorse positive, sulla scuola, dove si formano le coscienze e dove la gentilezza acquisisce forma e contenuto, dove si deve dare corpo all’educazione alla parità di genere, al rispetto dell’altro, valori che devono essere promossi già a partire dalla scuola dell’infanzia e poi nelle scuole successive, seguendo lo sviluppo dei bambini».
«La scuola e la famiglia sono due agenzie educative rimosse perché non vi si investe più – dice – . Le famiglie degli adolescenti sono in difficoltà perché non sono supportate e non sanno come evitare che i propri figli finiscano preda di faide. Se non investiamo risorse economiche nella scuola e in programmi di educazione e alfabetizzazione alla socialità non riusciremo a invertire la rotta. Dobbiamo anche supportare le famiglie sul territorio con servizi di cura e igiene mentale. Servono politiche attive di prevenzione».
Guardando al tema del bullismo, il docente fa notare che «la cultura del bullismo si ciba di prevaricazione e della mancanza di alfabetizzazione emotiva dei bulli, anche in relazione alla percezione dei danni che procurano sulle vittime, di cui sono inconsapevoli. Per questo è necessario educare all’accoglienza e alle emozioni sia in famiglia che a scuola, al rispetto delle differenze e delle fragilità».
Cosa possono fare le famiglie? «Le famiglie vanno innanzitutto guidate, sono alla disperata ricerca di punti di riferimento sul territorio e spesso subentra un atteggiamento di ineluttabilità rispetto alle problematiche, bisogna invece supportarle nella ricerca di soluzioni. Anche le famiglie dei bulli vanno aiutare a capire che il bullo è vittima di se stesso, perché educato alla cultura della sopraffazione. Un antico proverbio indiano sostiene che “per allevare un bambino occorre un intero villaggio”: la società, la scuola e la famiglia devono unirsi per questo obiettivo».